Black Mirror 6, recensione: un ping-pong con Netflix, mai così reale

Black Mirror è tornata e anziché andare a cercare una tecnologia ultraterrena indaga la realtà che ha più vicina. Quella di cui la serie stessa è espressione, grazie alla quale si alimenta ed esiste. Se l’uso inappropriato della tecnologia è, da sempre, il pallino di Charlie Brooker, in Black Mirror 6 si chiede: perché l’uomo la usa così male?
Black Mirror 6, recensione: un ping-pong con Netflix, mai così reale

Lo specchio non è più nero: Black Mirror 6 è una superficie che riflette e a rivedercisi dentro tocca prima di tutto a Netflix, poi a tutto ciò che gioca con la realtà. In molti si chiedono se questa sesta stagione sia il definitivo declino della violenza e del cinismo; altri già hanno visto le tracce di quel declino dalla quarta in poi. Quello che chi scrive vorrebbe fare è invece leggere Black Mirror per ciò che è ora, in questo momento, in questa società e capire una cosa soltanto: cosa vogliono dirci queste cinque puntate?

Black Mirror 6: il filo rosso

Il trailer ufficiale di Black Mirror 6

L’invenzione della realtà è il leitmotiv delle cinque nuove puntate di Charlie Brooker, l’affabulazione, la simulazione: in definitiva, il rapporto complicato con il reale e le reazioni dell’essere umano davanti alla forzatura dei suoi limiti. E poi, la smania del raccontare.

Questo il nuovo Black Mirror, dopo 4 anni dall’ultima stagione e a ben 11 anni dal suo esordio. Al centro restano l’uomo e la sua cecità davanti agli entusiasmi effimeri: non più della tecnologia utopistica, forse perché nel 2023 ha smesso di sembrarci sensazionale; ma delle modalità con cui rendere reale e vero qualcosa che non lo è. E se ci pensiamo fare cinema e spettacolo è il primo modo per mettere in atto questa spinta propria dell’essere umano, e Black Mirror 6 ci dice: “attenzione, ci sono dei rischi“; oppure “ecco il motivo per cui ne avete così tanto bisogno“. Fra queste due affermazioni oscillano le 5 nuove puntate, che ora analizziamo una per una.

Joan è terribile, la matrioska all’inizio di Black Mirror

Joan is awful è la prima puntata di Black Mirror 6
Joan is awful è la prima puntata di Black Mirror 6

La prima puntata di Black Mirror va riassunta così. Apri Netflix, cerchi Black Mirror 6, play. “Joan is awful” recita il titolo: conosci Joan, suo marito e il suo ambiente di lavoro. Sembra una classica serie drammatica del catalogo. Poi Joan si siede sul divano, accende la tv, “tudum” e si apre Streamberry, un alter-ego di Netflix. C’è una nuova serie sul Netflix di Joan, e si chiama Joan in awful. Ma noi stiamo guardando un episodio omonimo. Siamo Joan? Joan è quella sul nostro schermo o sul suo? Il cortocircuito è partito: bentornata Black Mirror.

Questa puntata di meta-Netflix, fra Truman Show e Enemy (il film di Villeneuve tratto dal romanzo di Saramago L’uomo duplicato), è l’esito estremo di una frase: “hai accettato le condizioni“. Nell’era della proliferazione delle storie, in cui tutto diventa raccontabile e da raccontare, una piattaforma di streaming sfrutta le nevrosi dei soggetti, le loro fragilità e paure, per “impennare il coinvolgimento“. Non serve la tecnologia spaziale o la fantascienza: di inquietante basta la realtà, una per tutti, come l’oroscopo. E nessuno sa essere pungente come Black Mirror nel sbattercelo in faccia.

Loch Henry

Davis: il protagonista di Loch Henry
Davis: il protagonista di Loch Henry

Di nuovo c’è il tema di un prodotto cinematografico, di nuovo l’episodio inizia come un normalissimo film drammatico dall’ambientazione nient’affatto sci-fi o surreale. E di nuovo Streamberry. I primi due episodi sono legati dalla stessa piattaforma streaming su cui si incentrano: uno pseudo-Netflix che ci tocca da vicino. Come Joan is awful metteva a tema l’abuso della narrazione, che diventa così invadente da essere terrificante; così Loch Henry ci ricorda che spesso ci sono cose della nostra vita che vorremmo non fossero registrate. Per non vederle più, come insegna Nope di Jordan Peele (a proposito di metacinema).

E invece il protagonista dell’episodio vincerà un BAFTA per quel documentario, nonostante registri la tragedia della propria famiglia: non ci sarebbe nulla da festeggiare, ed è proprio qui che Black Mirror torna ad accenderci una lampadina. Cosa e quanto siamo disposti a vendere di noi stessi per l’intrattenimento? Dalla forma della tecnologia, Black Mirror è passata ai contenuti, per questo è un sì.

Beyond the sea, “Sogno o son desto?”

Aaron Paul nel terzo episodio di Black Mirror 6
Aaron Paul nel terzo episodio di Black Mirror 6

Cosa vuol dire vendere la nostra vita e renderla un prodotto fra tanti altri? Probabilmente poter offrire ad un nostro collega un “link” per entrare nella nostra quotidianità e vivere alcune ore nel nostro corpo. Un’esistenza che diventa un vestito, da poter dare in prestito, e il reale sempre più difficile da riconoscere nel mare dell’irrealtà e del virtuale.

Il focus della stagione si conferma quel labile confine fra vero e non, tra realtà e simulazione: in questa puntata tanto con le più elaborate tecnologie proprie del Black Mirror delle origini, quanto con un continuo riferimento alla pittura e al disegno. In fondo sia l’arte che la tecnologia provano a riprodurre una realtà non reale: il compito dell’uomo è non perderne il dominio, questo il monito della serie.

Un Aaron Paul stile Buzz Lightyear incarna in quest’episodio centrale l’inversione di segno di Black Mirror 6: non più un eccesso di tecnologia estrema, dentro al quale cercare la vita; ma tanta vita fatta di emozioni e sentimenti, dentro cui la tecnologia diventa il farmaco dei greci (tanto veleno quanto opportunità). E nonostante sembri un episodio staccato dagli altri, vuoi l’ambientazione vuoi l’elemento più fantascientifico che torna dalle prime stagioni e poi manca nelle altre puntate di quest’ultima, in realtà c’è un piccolo aspetto da cogliere. Il cinema e lo spettacolo cosa sono se non vestire i panni di qualcun altro? Il filo rosso non si spezza, siamo sempre lì, così tanto da confondere il sogno con la realtà.

La svolta thriller di Black Mirror 6

Una scena da Demone 79 l'ultima puntata di Black Mirror 6
Una scena da Demone 79 l’ultima puntata di Black Mirror 6

Gli ultimi due episodi di Black Mirror 6 sembrano un mix di Beef e The Umbrella Academy. Inseguimenti, scene cupe, atmosfere thriller e cinismo apocalittico. Nonostante per molti questo sia un male, chi scrive lo ha molto apprezzato. Bisogna non dimenticare il focus della stagione: confuso dal cambio di rotta degli ultimi due episodi rischiamo di perdercelo e credere che sia assente, ma non è così. La sesta stagione di Black Mirror resta coerente se ci accorgiamo di quale filo la tiene insieme.

Mazey Day

In questo quarto episodio cosa resta dell’elemento inquietante e pungente che tutti abbiamo sempre associato in Black Mirror dal primo istante? I flash ossessivi, compulsivi e spregiudicati delle macchine fotografiche. La storia è di una star di Hollywood, inseguita dai giornalisti per uno scoop sensazionale: è tenuta insieme a tutti gli altri episodi ancora una volta dalla fine della privatezza. Il giornalismo, i paparazzi, non sono temi sulla deriva tecnologica e se continuiamo a chiedere questo a Black Mirror ci sembra un episodio deludente. Se, però, dai primi tre abbiamo capito cosa vuole dirci questa stagione, sull’uomo e sulle debolezze che l’hanno reso schiavo della tecnologia, allora capiamo perché la tecnologia può scomparire.

Demone 79

Un talismano è al centro dell’ultimo episodio, che riguarda la minaccia di un apocalisse ed è dominato dalla figura di un anti-grillo parlante che addestra la protagonista ad uccidere. Un genio della lampada che compare per un preciso motivo, che risponde ad una domanda: chi ti ha mandato in bestia? La Cenerentola macabra di questa puntata deve scongiurare che non si faccia mezzanotte prima di aver compiuto cinque omicidi, questo le dice il demone evocato dal talismano. Sembra una sorta di catalizzatore degli impulsi repressi: proprio quelli che spesso portano agli esiti disastrosi della tecnologia, frutto di una frustrazione umana.

La puntata meno apprezzata dai più è la chiave per leggere l’intera stagione. La protagonista dice al demone: “Tutto questo a te piace, non ti sporchi le mani, guardi e basta: puro intrattenimento. E se arriverà l’Apocalisse avrai un finale divertente“. Il demone, vestito di bianco e dai capelli ricci, è esattamente l’oggetto della critica di Black Mirror 6: il desiderio di spettacolarizzare e le figure che di questa spettacolarizzazione fanno un vanto e un guadagno a discapito di quelli che spettacolarizzano a qualunque costo.

Da Black Mirror 6 è tutto, spegnete la telecamera.

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