The Handmaid’s Tale 5, recensione: fuori Gilead la terra di nessuno

The Handmaid’s Tale, conosciuta anche come Il racconto dell’ancella, è una delle serie drammatiche più apprezzate degli ultimi anni. Basata sul romanzo di Margaret Atwood, la serie ha portato sullo schermo tematiche importanti di emancipazione femminile. The Handmaid’s Tale 5 riprende il filo della scorsa stagione e ci riporta a Gilead.
The Handmaid’s Tale 5, recensione: fuori Gilead la terra di nessuno

Il 15 settembre è arrivata su Prime Video The Handmaid’s Tale 5, la serie che più di qualsiasi altra porta da sei anni sullo schermo l’orrore della violenza e della discriminazione di genere. Distribuita dal 2017 su Hulu e creata da Bruce Miller, è ritenuta uno dei migliori drama televisivi per essere riuscita a conciliare, fin dal primo momento, una narrazione forte e una fotografia d’effetto. 

In questa nuova stagione, uscita negli Stati Uniti a settembre 2022, riprendiamo a seguire le vicissitudini di June Osborne, interpretata da una magistrale Elisabeth Moss (protagonista di una attesissima nuova serie). Una stagione di passaggio narrativamente e geograficamente, che nella terra di mezzo, e di conseguenza di nessuno, tra Gilead e il Canada prepara lo spettatore alla resa dei conti. 

The Handmaid’s Tale 5: Trailer e trama

Il finale della quarta stagione aveva mostrato la brutale uccisione del comandante Fred Waterford per mano di June e di altre ex ancelle. Una morte cruenta, una vendetta messa in atto tramite scarnificazione, necessaria sia per le ancelle sia per lo spettatore. Il sollievo dato dal punire chi è peccatore, impedirgli di commettere altro male e allo stesso tempo renderlo un monito per quelli come lui. “Nolite te bastardes carbondorum” recita la scritta sotto il suo corpo impiccato. Ma questi non sono forse gli stessi mezzi di Gilead? 

Il Canada è solo l’illusione della libertà, perché il seme del male piantato da Gilead è ormai dentro tutti e tutte. Nessuno può trovare pace all’interno o all’esterno i confini dello stato totalitario teocratico. Né June, riunitasi con Luke e Nicole ma alla continua ricerca della figlia Hannah, né Serena Joy Waterford che con difficoltà porta avanti la gravidanza annunciata nella stagione precedente. 

Una coralità perduta

Le ancelle
Le ancelle

Purtroppo The Handmaid’s Tale 5 non è all’altezza delle stagioni precedenti. L’aspetto più rilevante della narratologia della serie era costituito dalla coralità di personagge che mettevano la loro voce al servizio della storia. Le Ancelle con i mantelli rossi, le Mogli con gli abiti verdi, le Marte con i loro vestiti da lavoro tenui: una parata apparentemente omogenea che custodiva all’interno una forza più centripeta che centrifuga. Ognuna di loro si ribellava singolarmente al sistema, resistendo all’uniformità imposta da Gilead. 

Le storie di Emily, Rita e Moira erano necessarie per creare una Resistenza definita e definibile, al contrario del vago fronte di combattimento portato sullo schermo in questa stagione. 10 puntate June-centriche che relegano ogni altro personaggio in secondo piano. June Osborne è il volto e il simbolo della Resistenza, ma arrivati a questo punto della serie non basta. Bruce Miller avrebbe dovuto mostrare nuove storie, nuove personagge determinate a ribaltare la narrazione. 

Ritmo e ripetitività in The Handmaid’s Tale 5

Serena Joy in The Handmaid's Tale 5
Serena Joy in The Handmaid’s Tale 5

Altro punto dolente di questa quinta stagione è il ritmo degli episodi. Un rallentamento che non porta a una maggiore introspezione, quanto più a un eterno ritorno su vecchie tematiche, in un’ottica di parallelismi tra passato e presente. Primo tra tutti il confronto tra Serena e June.

Serena Joy (Yvonne Strahovski), la personaggia più complessa della serie, la più contraddittoria, in perenne bilico tra la sua personale sete di potere e l’arrendersi a un sistema che lei stessa ha contribuito a creare, si ritrova a vivere nella casa dei coniugi Wheeler come fosse un’ancella. E solo l’esperienza della sofferenza la aiuta finalmente a comprendere June, sua avversaria dalla prima puntata. E lo scontro a armi pari non può che portare alla pace. 

Le sfumature della maternità a Gilead

Procreare è un potere delle donne, e, come nella vita reale, anche gli uomini di Gilead ne sono consapevoli e fanno di tutto per limitarlo. Le donne di Gilead non possono leggere, scrivere, avere un’indipendenza economica. E soprattutto non hanno alcuna voce in capitolo sui loro figli. June, Serena e Janine combattono per esercitare il loro ruolo di madre e per questo vengono imprigionate e torturate.

Il tema della maternità è chiave in questa serie e soprattutto in questa stagione. E a rendersene conto per prima è Serena: nel mondo distopico post-guerra e cambiamento climatico l’obiettivo è la sopravvivenza umana, quindi la procreazione. Al di fuori delle mura di Gilead non sono le parole della Bibbia a convincere i possibili nuovi adepti, ma le gravidanze miracolose, una nuova speranza in un mondo che sembrava già finito. 

La fine di Gilead

Elisabeth Moss nel ruolo di June
Elisabeth Moss nel ruolo di June

La Repubblica di Gilead sta mostrando le sue crepe. Un sistema basato su ipocrisia e violenza non è destinato a durare e manca poco alla caduta definitiva. Ma ciò che sorprende e atterrisce è la consapevolezza che il problema non è Gilead. Questo stato totalitario è solo il simbolo dell’eccesso, il rischio portato alle estreme conseguenze.

Il turbamento più grande dato da The Handmaid’s Tale 5 è la scoperta che un posto sicuro per le donne ancora non esiste, e che l’orrore si può trovare in ogni paese, anche nel più democratico Canada. Le mura di Gilead stanno per crollare, ma il suo marciume si dirama ovunque a una impressionante velocità. Al di fuori c’è una terra di nessuno, dove combattere per sopravvivere è inevitabile.

The Handmaid’s Tale 5 prepara gli spettatori al finale conclusivo della serie annunciato per la sesta stagione. E nonostante i suoi difetti si riconferma uno show televisivo necessario, in questo periodo storico in particolare. Le storie delle Ancelle e delle Mogli vanno ascoltate e comprese, perché la narrazione può sempre essere cambiata e, come ci ha insegnato Margaret Atwood, “non permettere mai ai bastardi di schiacciarti”.  

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