Su Netflix è arrivata dal Giappone la serie tv I tre giorni dopo la fine, la quale racconta con estremo realismo l’incidente nucleare di Fukushima del 2011. Con un cast che vede, tra gli altri, Koji Yakusho, Yutaka Takenouchi e Fumiyo Kohinata, la miniserie riesce nel suo intento di raccontare la drammatica catastrofe, eppure qualcosa non funziona.
I tre giorni dopo la fine in tre prospettive
La trama della serie è ispirata da quanto è realmente accaduto nel marzo del 2011: uno tsunami ha colpito la centrale nucleare di Fukushima, provocando quattro esplosioni. Si è trattato di uno degli incidenti nucleari più tragici di sempre. L’11 marzo un terremoto, registrato come magnitudo 8,9 (il più potente mai misurato in Giappone), ha spento i reattori dell’impianto. Quel sisma provocò uno tsunami che si è abbattuto sulla centrale, distruggendo i generatori d’emergenza e rilasciando materiale radioattivo.
Alla ricerca di una risposta
Le conseguenze di quella tremenda catastrofe sono ancora evidenti e ci si chiede chi sia responsabile degli errori che non hanno impedito, come avrebbero dovuto, l’incidente. Chi si è adoperato in quei giorni è un eroe o un colpevole? È questa la domanda da cui parte I tre giorni dopo la fine e la cui risposta deve arrivare dal pubblico, dopo aver visto la miniserie.
Attraverso la serie, ci si immerge totalmente in quei giorni, capendo le dinamiche successive all’incidente. Tra dolore, difficoltà e responsabilità, I tre giorni dopo la fine riesce a raccontare in maniera vera e attendibile i fatti realmente accadute. Questo racconto avviene tramite tre prospettive, tre voci: i funzionari del governo, i dipendenti della Tokyo Electric Power Company e dipendenti della centrale nucleare di Fukushima Daiich.
Come Chernobyl: i veri horror raccontati dalle serie

I tre giorni dopo la fine ricorda l’apprezzatissima serie tv Chernobyl (di cui trovate la trama qui), che in comune ha il fatto di avere una tragedia nucleare come protagonista. In entrambe le serie, lo spettatore sa già come finisce la storia, eppure rimane coinvolto dalla prospettiva inedita delle persone coinvolte.
L’atmosfera, le musiche e la tensione contribuiscono, sia in Chernobyl che in I tre giorni dopo la fine, a percepire l’agitazione che ha caratterizzato quelle intense giornate. Nella miniserie Netflix, la colonna sonora e le luci giocano un ruolo fondamentale nel creare il clima di tensione.
La mano di Hideo Nakata
Tra i registi della serie c’è Hideo Nakata, un fuoriclasse del cinema horror giapponese (ha diretto Ring e The Ring 2), il cui stile si intravede negli otto episodi di I tre giorni dopo la fine. Effettivamente questa storia è un horror reale, un racconto catastrofico che, essendo realmente accaduto, incute ancora più timore della classiche storie del genere horror.
I tre giorni dopo la fine: cosa non funziona?

Per quanto sia realistica e attendibile, I tre giorni dopo la fine non è totalmente convincente. Focalizzandosi troppo sul racconto storico e tecnico, diventa poco coinvolgente e non si riesce ad empatizzare con i vari protagonisti. Nonostante le loro reazioni e difficoltà, nessuno dei personaggi riesce a conquistare lo spettatore.
Quello che manca è un racconto più introspettivo ed emotivo, mentre viene dedicato troppo spazio a scene particolarmente lunghe nella centrale. Sicuramente la serie è coerente con il suo obiettivo: raccontare l’incidente nucleare di Fukushima. Tuttavia sfocia in un racconto che a tratti sembra un documentario romanzato, mentre in otto puntate si poteva trovare il modo di sviluppare la storia in maniera che fosse più efficace e coinvolgente.
Avete visto la serie I tre giorni dopo la fine? Fateci sapere nei commenti la vostra opinione!