Dotato di una sensibilità e di una fantasia fuori dal comune, che si traducono in uno stile personalissimo tra il surreale e il carnevalesco, Tim Burton è forse uno dei registi più iconici degli ultimi 30 anni.
Riscatto dell’emarginato, rivalsa dell’introverso, riscoperta della bellezza del mostruoso: sono questi i capisaldi della sua filmografia, che diventano forse i motivi per cui empatizziamo tanto col suo cinema, che ci commuove ma che al contempo ci provoca. Tutti noi, infatti, almeno per un istante, ci siamo sentiti sbagliati, diversi, inadeguati, come i suoi personaggi raccontano. Persi come Alice, incapaci di essere amati come Edward, matti come il Cappellaio. Il cinema burtoniano in questi momenti ci tende la mano e ci mostra che non siamo soli e che, anzi; più strani siamo, più siamo adeguati.
L’infanzia: vicina a Burbank, lontana da Hollywood

Gran parte della sua poetica si basa su un gioco di dualità e di opposti, che ha forse origine dalla sua stessa infanzia: nasce a Burbank, nella periferia di Hollywood, ma, almeno per la gran parte della sua carriera, non aderisce alle logiche degli studios (che ha criticato aspramente proprio di recente) che gli sono vicino. Vive sulla propria pelle uno scontro di realtà che trasla anche nel suo immaginario: nei suoi film troviamo sempre un conflitto morale tra il mondo “normale” e paranormale, laddove il primo mostra man mano le proprie crepe e contraddizioni. Mentre il secondo, colorato, stravagante e talvolta spaventoso si dimostra essere the place to be, libero da ogni oppressione.
Prima di scoprire quella che – per chi scrive, si capisce – è la classifica dei 10 migliori film di Tim Burton, scelti sia sulla base del consenso di critica e pubblico, che per una certa aderenza a temi e poetica che meglio lo rappresentano, serve fare una premessa. In questa Top 10 non si troverà menzione di Nightmare Before Christmas, film che nasce dall’immaginario di Burton e di cui ne è produttore, ma la cui regia è di Henry Selick, a cui vanno riconosciuti i meriti.
10. Vincent, alter ego di Tim Burton

Per comprendere la poetica di Tim Burton è necessario approcciarsi innanzitutto con il suo primo cortometraggio importante, Vincent, realizzato nel 1982 e che ci consegna già la chiave di lettura definitiva di tutte le sue opere successive. Girato in stop-motion e in un cupo bianco e nero dai tratti marcatamente espressionistici, si tratta di un trance film di 6 minuti – un film di trasformazione – in cui il disagio interiore di un giovane Burton viene rappresentato da un bambino suo alter ego, Vincent Malloy. L’introverso ragazzo fantastica di essere Vincent Price (che ne è la voce narrante) e si immagina all’interno di situazioni ispirate ai poemi di Edgar Allan Poe.
Vincent è importante perché è un vero e proprio invito all’interno della mente del giovane Tim, che ci presenta tutti i temi a lui importanti: il cinema horror attraverso la figura del celeberrimo attore Vincent Price, il mostruoso e il grottesco, la deformazione delle ambientazioni, soprattutto attraverso il motivo della spirale, l’amore per l’animazione in stop-motion, e, infine, la sensazione di essere escluso da una condizione di normalità.
9. La fabbrica di cioccolato

Come molti dei film burtoniani, La fabbrica di cioccolato, uscito nel 2005, è un film divisivo. Tratto dal romanzo omonimo di Roald Dahl, a cui fa largamente riferimento, ed ispirato solo in parte al precedente adattamento cinematografico Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato col brillante Gene Wilder, quello di Burton è un film burlesco, comico e ridondante che sposa vari tipi di eccessi. L’eccessiva golosità che fa da sfondo a questo mondo di cioccolato, gli eccessivi capricci dei bambini che vi interagiscono e del loro capo-fabbrica, Willy Wonka, a cui si contrappongono solo il piccolo Charlie e la sua famiglia, che eccessi non conoscono.
Burton mantiene la sua cifra stilistica nelle forme arzigogolate e nella traduzione grottesca delle situazioni, in una sorta di viaggio culinario che può talvolta essere di cattivo gusto. Per responsi critici misti, anche molto positivi, per il personalissimo adattamento e per l’aver aderito ad una produzione più commerciale mantenendo il proprio marchio di fabbrica, La fabbrica di cioccolato merita un posto in classifica. Inoltre, è questo il primo film della nostra lista in cui troviamo Johnny Depp, suo attore prediletto, nel ruolo di protagonista, ed Helena Bonham Carter, sua musa nonché ex-moglie, in uno dei principali ruoli femminili.
8. Big Fish

Big Fish (2003) è forse il film più ottimista e positivo di Tim Burton, tratto dal romanzo omonimo di Daniel Wallace e dalla sceneggiatura di John August. Mostrandosi sotto forma di grande spettacolo visivo, è questo un film che parla di come l’immaginazione possa plasmare la realtà. Big Fish si sviluppa come fosse una sorta di testamento che il padre morente, Edward (interpretato da Albert Finney / Ewan McGregor), lascia al proprio figlio Will (Billy Crudup), sotto forma di racconto della propria vita.
Una vita bizzarra, fatta di miracoli e di accadimenti inspiegabili per il pragmatico Will, che inizialmente proprio non può credere al padre, fino a quando l’immaginazione stessa di Edward non verrà messa nelle sue mani. Big Fish è un continuo viaggio all’interno e al di fuori dal reale, e se il confine tra vero e falso è molto sottile, Burton riesce magistralmente a tenerlo in equilibrio, pur perdendo un po’ del suo spirito grottesco.
7. Frankenweenie, il cane-zombie di Tim Burton

Quello di Frankenweenie è un progetto sul quale Burton torna a più riprese nel corso della sua carriera: dal cortometraggio del 1984 della durata di 30 minuti, al lungometraggio animato in stop-motion del 2012, nominato peraltro agli Oscar come Miglior film d’animazione. Frankenweenie è una rivisitazione parodica del soggetto di Frankenstein, che vede il bambino/inventore Victor Frankenstein riportare in vita dal regno dei morti il cagnolino/fantoccio Sparky.
Primo film, quello del 1984, in cui Burton indaga il tema della morte, e visto l’argomento sinistro stupisce che sia stata proprio la Disney a produrlo. Tuttavia, la collaborazione tra Burton e la Disney si sarebbe prontamente interrotta di lì a poco con il suo licenziamento – e, visto il perbenismo disneyano, questo ci stupisce meno. Frankenweenie ci riassume bene il rapporto di amore-odio tra Burton e la Disney: quando nel 2012 torna sul soggetto di Frankenweenie, è nuovamente la Disney a produrlo. Che sia una sorta di eterno ritorno della Disney all’ormai brand Tim Burton, o di Tim Burton nei confronti degli studios, a cui fa infine ricorso?
6. Ed Wood

Vincitore di due premi Oscar – Miglior Trucco e Miglior attore non protagonista ad un gigantesco Martin Landau –Ed Wood è, per ironia della sorte, un film di successo di un regista fallito. Considerato da molti critici come il film burtoniano meglio riuscito, ne è stata molto apprezzata anche la brillante interpretazione di Johnny Depp, che ha finalmente messo tutti d’accordo sulle sue capacità attoriali, se impiegate nei giusti ruoli.
Il film, uscito nel 1994, ci accompagna all’interno della vita dell’eccentrico Edward D. Wood Jr., (in)giustamente classificato come il “peggior regista di tutti i tempi”, negli anni che portano alla realizzazione del suo cosiddetto capolavoro Plan 9 from Outer Space. Burton sceglie con questo film di omaggiarlo anziché di deriderlo, ritraendolo come un ingenuo ottimista, un regista appassionato ma sconsiderato, un travestito che amava le donne e l’alcol ma senza approfondirne l’aspetto tragico. Ed Wood è dunque un viaggio nel cinema classico hollywoodiano, nonché un ironico tributo ai B-movies e al regista che, ancora oggi, meglio li rappresenta.
5. Beetlejuice, lo spiritello porcello di Tim Burton

Suo secondo lungometraggio, Beetlejuice (1998) è la scommessa del regista qui 30enne, che, appoggiato dagli studios dopo il successo di Pee Wee’s Big Adventure, può dare definitivamente sfogo al suo immaginario e spingersi in un progetto più audace. Grottesco, sregolato, comico: storia di morti, di risorti e di veggenti, Betelgeuse è il bio-esorcista sregolato interpretato da Michael Keaton che diventa prontamente IL personaggio cult di Burton per eccellenza.
Ci sono tutte le carte in regola per essere la sua opera più iconica e provocatoria: atmosfere spaventose immerse in una dilagante ironia, scenari espressionistici e costumi elaborati, la condizione privilegiata dei morti rispetto a quella dei vivi. Per non parlare del cast d’eccezione: affianco all’interpretazione perlopiù improvvisata di un divertentissimo Michael Keaton, e ad una giovanissima Winona Ryder, ci sono i protagonisti Alec Baldwin e Geena Davis, Catherine O’Hara e Jeffrey Jones. E infine, l’asso della manica della filmografia burtoniana: il sodalizio col compositore Danny Elfman, attraverso il quale la musica diventa essa stessa un personaggio.
4. Batman – Il ritorno

Batman – Il ritorno (1992), secondo capitolo di Tim Burton dedicato alla saga di Batman, non solo è considerato essere quello meglio riuscito tra i due – nonostante anche il primo del 1989 meriti una menzione speciale – ma è anche uno dei migliori film sull’Uomo-pipistrello mai realizzati. Il punto di forza della Gotham City di Burton è la sua sregolatezza: i suoi personaggi folli e dai tratti marcatamente perversi hanno generato forti critiche al momento della sua uscita, ma l’hanno anche resa un’opera estremamente audace.
Il cast, poi, è davvero straordinario: a fianco a Michael Keaton nel ruolo di Batman, troviamo un Danny De Vito in un’interpretazione del Pinguino che è forse il vero merito del film, una sensuale Michelle Pfeiffer/Catwoman e un Christopher Walken che interpreta l’antagonista Max Shreck, uomo-vampiro il cui nome è un omaggio diretto al Nosferatu di Murnau. Gli effetti visivi sono ancora una volta gotici e ricercati, e sono valsi infatti una candidatura agli Oscar, insieme a quella al Miglior trucco. E infine, la colonna sonora firmata ancora una volta da Danny Elfman, in uno dei suoi migliori lavori.
3. Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street

Due Golden Globe, un premio Oscar alla Miglior scenografia e il plauso della critica; con Sweeney Todd Tim Burton si macchia di molto sangue, e lo fa in gran stile. Questo sofisticato musical horrorifico è forse l’adattamento più macabro del leggendario soggetto del barbiere omicida di Fleet Street, nonché più cupo prodotto della filmografia burtoniana.
Girato in un monocromo a cui si aggiunge del rosso qua e là, la violenza estetica di Sweeney Todd esalta la follia dei suoi protagonisti, interpretati dal binomio Depp-Bonham Carter nella sua migliore forma. Il film inoltre gode della colonna sonora dell’immenso Stephen Sondheim, già compositore della versione originale di Broadway del 1979. A questo capolavoro del 2007, anno in cui peraltro gli viene consegnato il Leone d’oro alla carriera, non può che spettare il terzo posto della nostra classifica.
2. La sposa cadavere – le nozze di Tim Burton

Tra i suoi film d’animazione in stop-motion, La sposa cadavere è quello che ha prodotto i risultati più straordinari: sia per complessità di produzione, che per delicata bellezza. Il film s’ispira ad un vecchio racconto popolare ottocentesco che narrava la storia di un triangolo amoroso tra il timido Victor, la promessa sposa Victoria, ed Emily, cadavere di una donna che era stata a sua volta promessa sposa di un uomo che l’aveva uccisa. Burton tratta il tema dell’amore ma soprattutto quello della morte, che sviluppa con sua solita ironia e leggerezza, giocando agli opposti e rappresentando il mondo dei morti come pieno di vita.
Il film raggiunge livelli altissimi di production design: le scenografie rappresentanti la Terra dei Vivi, ambiente severo, grigio, austero, e la Terra dei Morti, mondo gioioso, fatto di musiche e feste, sono curate nei minimi dettagli, così come i 160 pupazzi impiegati.Incorniciato all’interno dell’infallibile musica di Elfman, La sposa cadavere è un susseguirsi di poetici quadri, che risultano in una storia d’amore spettrale e in una meritatissima candidatura all’Oscar. Per noi non può che occupare il secondo posto.
1. Edward Mani di Forbice

Se il personaggio di Vincent Malloy, un alter ego ancora primitivo del regista, apriva la classifica, Edward Mani di Forbice (1990), sua evoluzione più matura, non può che chiuderla. Vincent, Edward, Tim: parliamo in fondo della stessa persona, di un outsider che cerca nell’arte l’espressione del proprio sé. Edward Mani di Forbice è una fiaba moderna di un uomo bionico che viene creato da un inventore che muore prima di poterlo portare a termine. Prelevato dalla sua solitudine da una rappresentante Avon ed inserito in un contesto cittadino, Edward si scontra con una realtà a lui totalmente estranea, che se prima lo accoglie nel tentativo di omologarlo, poi lo rifiuta.
Le mani bioniche di Edward, unica parte imperfetta di un corpo altrimenti funzionante, si fanno metafora dei timori inconsci del proprio creatore: l’impossibilità di essere amati per il fatto di essere diversi. Il ruolo più intimo della filmografia di Burton non poteva che essere interpretato da Johnny Depp, qui alla sua prima collaborazione col regista, mentre torna dopo il successo di Beetlejuice un’iconica Winona Ryder nei panni di Kim, l’amata di Edward, che dopo il lavoro sul set diventerà anche l’amata dello stesso Depp.
La prima posizione merita quindi di andare al film più personale di Tim Burton, che nel solo personaggio di Edward riassume la sua produzione tutta: il suo è un cinema dei freaks, degli outsiders, degli incompresi, che gioca sulla diversità per farne fonte di primaria bellezza.