The Northman, recensione: l’Amleto viscerale di Robert Eggers

Il mito danese di Amleto rivive nell’epopea vichinga di The Northman, terzo film di Robert Eggers scritto a quattro mani con lo scrittore islandese Sjon e con protagonisti Alexander Skarsgård e Anya Taylor-Joy. Un film dall’animo doppio che congiunge l’autorialità del regista con la forza di una produzione ad alto budget.
Ethan Hawke, Alexander Skarsgård, Nicole Kidman e Anya Taylor-Joy nel poster del film The Northman

Confermarsi non è mai facile per nessuno, men che meno se ti chiami Robert Eggers. Perché dopo quel gioiellino di The Witch all’esordio ed il magniloquente The Lighthouse, il regista portavoce dell’horror contemporaneo colpisce dritto allo stomaco con l’epicità norrena di The Northman. Un film accolto gelidamente sotto il mero aspetto commerciale ma che distaccandosi dall’animo indipendente assume la potenza espressiva di un kolossal scavando nelle viscere della mitologia.

The Northman, la trama

Amleth assiste impotente alla morte del padre, il sovrano Aurvandill (Ethan Hawke), per mano dello zio Fjolnir (Claes Bang). Riuscito a fuggire prendendo il largo, viene accolto e cresciuto dai vichinghi, prendendo parte a feroci razzie. Ma la sua missione per tutto il tempo rimane quella di vendicare la morte del padre, di salvare la madre adesso sposa di Fjolnir ed uccidere lo zio. Lungo il suo percorso conosce una schiava di nome Olga, decisa ad aiutarlo nella sua impresa.

I Gesta Danorum di Eggers

Alexander Skarsgård in una scena del film The Northman

Tutti conoscono la storia dell’Amleto frutto della tragedia shakespeariana, ma in pochi invece sono a conoscenza della sua vera origine. Eggers infatti, spostando ancora più a Nord, nell’Islanda del I secolo, la sua epopea, attinge dagli scritti di Saxo Grammaticus e dai suoi Gesta Danorum. Imprime quindi nella leggendaria storia di vendetta una violenza brutale, fatta di sangue che sgorga e budella attorcigliate, senza tralasciare l’esoterismo che permea i suoi precedenti lavori.

Non troviamo più il diabolico folklore inglese, né entità lovecraftiane, ma ci addentriamo nell’epica scandinava. Nella sua teatralità The Northman è da molti ritenuto il film più accessibile della sua filmografia, in attesa del suo Nosferatu. Il grande pubblico troverà quindi nell’adrenalina dell’azione un’esperienza visiva impattante ma al contempo avrà a che fare con veri e propri quadri in movimento.

Vendetta, onore e sangue

Anya Taylor-Joy in una scena del film The Northman

Il viaggio ossessivo e catartico di Amleth procede veemente nella fisicità primordiale dei personaggi, trascinando senza sosta lo spettatore attraverso lunghi piani sequenza che avanzano nel putridume dei villaggi razziati. Le martellanti ed incessanti sonorità vichinghe disorientano per lasciare spazio ai profondi silenzi che lasciano prendere fiato prima di riprendere la marcia sanguinaria verso la vendetta.

Il gelo nordico è la tana di lupi famelici dove però un giovane erede al trono è costretto dapprima a scappare nelle vesti di innocente cappuccetto rosso prima di riemergere dalle profondità, forgiato dal metallo delle lame. Alexander Skarsgård è l’Amleto figlio del male che genera altro male divorato dal desiderio di rivalsa, che nemmeno la rude ma sempre affascinante Olga (Anya Taylor-Joy) può saziare, perché amore e pietà sono sentimenti troppo deboli al cospetto della crudeltà umana.

Il destino di un principe bestiale

La Valchiria che cavalca verso il Valhalla in una scena del film The Northman

Perché la vendetta nell’Amleto è sia tormento che ossessione, come la volontà di essere ricordati ed accedere con onore all’aldilà norreno, quel Valhalla tanto ambito e presidiato da Valchirie erranti. In tutto ciò, in questo continuo bagno di violenza e sangue, il principe tramuta in quegli stessi lupi che l’hanno generato sul cadenzare di una logorante ed ossessiva litania. “Ti vendicherò padre, ti salverò madre, ti ucciderò Fjolnir”.

Eggers dissemina di ritualità la pellicola che continua il suo discorso sul rapporto con il divino. Sin dalle prime battute entriamo in una dimensione onirica, spirituale, dove le inquietanti cerimonie insinuano il seme della follia crescente in Amleth. È così che tra veggenti occulte, stregoni, rituali di battaglia vichinghi e animali totemici, affondiamo le mani nella mitologia. Ed è proprio questa matrice magica ed ultraterrena che connette i tre film del regista, indagando ancora il bisogno umano di rapportarsi con l’ultraterreno.

La vendetta di Amleth appare quindi inevitabile come la morte diversamente dalla ricezione di The Northman che ha lasciato di che pensare al suo fautore. Ma la nostra speranza è che Robert non demordi nell’inseguire la propria poetica, che non tradisca . Perché il suo Amleto è un “blockbuster autoriale”, meno ermetico ma comunque visionario, che mescola con potenza l’animo indipendente e colossale.

Facebook
Twitter