Preacher, recensione, la serie che non predica: spara!

E se ci fosse una serie in cui dio potrebbe essere un attore locale, innnamorato del jazz di New Orleans, una serie in cui un predicatore immerge la faccia di un uomo, invaghito di una bambina, in una vasca bollente per fargliela passare, perchè non se ne parla abbastanza? Preacher, la serie horror-western, adattamento dell’omonimo fumetto dissacrante, arriva, completa su Netflix.
Preacher, recensione, la serie che non predica: spara!

You know, the Preacher liked the cold, he knows I’m gonna stay”: i predicatori, recitano i versi di California Dreaming, non hanno interesse nel veder restare i fedeli: sanno che il freddo è l’unico motivo per cui trovano riparo in chiesa, tanto da iniziare ad amare il gelo del mondo esterno. Solo così, li convinceranno a restare. Jesse Custer (Dominic Cooper) non è da meno: ex fuorilegge, diventa pastore della chiesa di Annville solo per adempiere alla promessa fatta al padre prima di morire. Svogliato, poco convinto dei propri sermoni, le tenta tutte per avvicinare la comunità a Dio, fallendo costantemente. 

Un giorno, tuttavia, un’entità misteriosa di nome Genesis, si impossessa di lui: Jesse può controllare le menti dei fedeli, convincerli a fare qualsiasi cosa: niente più “prometto, padre, che non peccherò mai più”: e quando falliscono, Jesse diventa spietato. Preacher (dai creatori di The Boys, una delle serie più seguite del 2022) è questo; spietata, iconoclasta, irriverente. E se riesci a mettere in scena un pastore che quasi annega nell’acqua battesimale le vittime – o meglio, i fedeli, spingendoli con foga in acqua, facendogli promettere di essere sempre “discepoli dello spirito santo” senza far ridere a crepapelle lo spetattore, ma inquietandolo, lasciandolo incollato allo schermo…è sulla buona strada. Eppure, Preacher non è solo horror e non è solo black humour.

 “Se ci sono i cavalli… è un western

Almeno, così credono i protagonisti di Argo. E i cavalli ci sono, c’è il pacchetto al completo: c’è l’America arida, quella dei pellerossa impiccati in tutti i modi possibili e immaginabili, quella dei tatanka, della diligenza, del mito fondativo, delle carabine e dei pianoforti in legno sempre scordati. Ma Preacher va oltre, unendo western e religione, e rimane serissima nel farlo. The Bravados (1958), La battaglia di Alamo (1960), la missione, la “conversione” rimane centrale nel genere. 

Lo chiamavano trinità, eppure, il vero dio nel western non è trino, è uno e uno solo: è il cowboy, il messia arrivato da lontano, il dio che non risponde mai alle domande, si limita a guardare, torvo, con la sigaretta in bocca. Il Cavaliere Pallido di Eastwood è Morte, uno dei quattro cavalieri venuti ad annunciare l’Apocalisse, e morte, si lascia alle spalle. Jesse Custer, Preacher, rimette tutto in scena, la conversione dei peccatori, la ricerca di Dio, (perso in qualche club di New Orleans perché innamorato del jazz) e di suo figlio, che a sua volta, ha avuto un figlio, dopo una serie di unioni consanguinee.

He was the son of a Preacher Man…

Jesse, Tulip e Cassidy in una scena di Preacher
Jesse, Tulip e Cassidy in una scena di Preacher

Ma un figlio – ritardato (Humperdoo) non riesce a salvare l’umanità. E allora è Jesse, ancora il cowboy pastore che prende in mano le redini del mondo, si erge a dio, prima punitivo, quello da Vecchio Testamento. L’horror religioso già di per sé, che non necessita di elementi horror. Mette in scena il contrappasso dantesco, spedisce un ragazzo suicida (Eugene) all’inferno, tra le sabbie, in una prigione in cui ritrova Hitler, a sua volta costretto a rivivere il proprio incubo: un collezionista d’arte con la Kippah che snobba le sua opere e i comunisti che festeggiano fuori dal bar. E non risparmiano neanche Carlomagno, Lincoln, Belushi, Tom Cruise e Scientology, definiti come concorrenti al trono di Cristo, denigrazioni. Jesse, alla fine, rimane il figlio di suo padre, figlio di un predicatore.

Che scopo hanno Preacher e Genesis?

Tex è il diavolo di C'era una volta a Hollywood
Tex è il diavolo di C’era una volta a Hollywood

“Sono qui per sbrigare certi cazzi del diavolo’, non letteralmente eh”.

Non letteralmente, ma quasi. Genesis è il frutto dell’unione di un angelo con un demone. È lontana da dio, lontana da satana, “forse dio se ne è andato, o potrebbe essere sulla terra, si è reso irreperibile e forse aveva un motivo…ma se invece scopro che non ha problemi, ma ci ha lasciati da soli a risolvere i suoi casini…gliela faccio pagare cara”. Poi, però, Jesse ci ripensa e incarna, quel dio insofferente della mitologia western. A sua volta spedito all’inferno, migliore amico di un vampiro irlandese, Cassidy (Joseph Gilgun, perfetto nel ruolo), che passa le giornate a bere e a farsi di LSD.

Innamorato di Tulip, che a sua volta ama profondamente Jesse, pur passando sempre per la classica  “Johnny Girl, sempre all’americana. Eppure Preacher riesce a ribaltare ogni clichè del genere, con una colonna sonora stupenda (Stones, Cash, Carly Simon, Dexys Midnight Runners), scene d’azione altrettanto, sorprende anche scriverlo, stupende. Jesse e tutta Preacher, non predica nulla, ed è così brava nel farlo che quasi vuole autosabotarsi svelando i propri trucchi. Cita continuamemte Il Grande Lebowski, Cassidy, a sua volta, una sorta di Lebowski, afferma continamente di odiarlo “ha un finale senza senso. Steve Buscemi muore per infarto e tornano al bowling, ma che cazzo vuol dire..”.

E Jesse, tornato dall’inferno, capisce che è il momento di annullare la visione polarizzante di buoni e cattivi, che se sulla terra ci sono 100 assassini e ne uccidi uno, ne rimangono sempre 100: smette di cercare un senso. E se è vero che il mondo si divide in due categorie – chi ha la pistola carica e chi scava, Preacher fa entrambe le cose: prima spara, e poi ci ripensa, va a scavare (letteralmente) e a riprendersi chi aveva mandato all’inferno. 

Facebook
Twitter