Sembra ieri, ma sono già passati quattro anni. Noi però ce lo ricordiamo bene il 2019: le elezioni europee, la nascita del figlio del principe Harry, la radio che passa insistentemente Dance Monkey. È successo tutto quell’anno, ma lo ricordiamo per altri motivi. Per noi il 2019 è stato l’anno in cui è uscito Parasite (da oggi disponibile su MUBI), il film che alla notte degli Oscar 2020 si sarebbe preso tutto, segnando un trionfo storico per un film coreano.
Se vogliamo concederci un paragone inflazionato, Bong Joon-ho è Davide che ha sfidato – vincendo – un Golia temibile e apparentemente imbattibile come l’industria cinematografica hollywoodiana, portandosi a casa quattro premi: miglior film (per la prima volta assegnato a una pellicola non in lingua inglese), miglior film internazionale, miglior regista e migliore sceneggiatura originale. L’en plein di Bong Joon-ho non è significativo solo per il prestigio di questo riconoscimento, ma anche e soprattutto per ciò che questa vittoria ha rappresentato e rappresenta: le statuette sono state la chiave per aprire – finalmente – le porte del cinema coreano al grande pubblico occidentale.
Il cinema dopo Parasite

Fino a quel giorno infatti la produzione cinematografica della penisola asiatica non era considerata allo stesso livello di quella occidentale, relegata alle rassegne di nicchia e alle retrospettive da cinema d’Essai. I motivi di questo scarso interesse sono da ricercare in molteplici fattori: la barriera linguistica sicuramente ha influito pesantemente, come anche la diversità culturale, che influenza inevitabilmente anche i contenuti dei film. C’è da dire poi che il cinema occidentale – soprattutto quello americano – ha il difetto di essere spesso troppo autoreferenziale, chiudendosi alle novità e alle influenze esterne.
La vittoria di Parasite agli Oscar ha però aperto il vaso di Pandora, inondando l’occidente di tantissimi film e serie TV coreane (forse anche troppe, ci arriveremo). È stato un processo graduale ma veloce: cavalcando l’onda creata da Bong Joon-ho sono stati redistribuiti e proiettati nei cinema – stavolta non solo d’Essai – diversi capolavori, in primis quelli del regista di Old Boy (uno dei pochi film coreani già conosciuti in occidente) Park Chan-wook.
Reazione a catena
Dopo aver conosciuto i vecchi successi coreani e averne capito la simbologia e apprezzato i linguaggi, il pubblico occidentale era ben predisposto ad accogliere anche nuovi prodotti. I cataloghi delle piattaforme di streaming (prima fra tutte Netflix) hanno iniziato quindi a riempirsi di film e serie TV provenienti dalla penisola. Un esempio su tutti? Squid Game. La popolarissima serie con protagonista Lee Jung-jae ha infranto molteplici record di visualizzazioni, diventando nel 2021 un vero e proprio fenomeno globale.
È nota a tutti ormai la storia dell’ideatore Hwang Dong-hyuk, che dal lontano 2008 cercava produttori per il suo progetto ma non trovava nessuno disposto a finanziare una serie coreana. Se l’anno precedente Parasite non avesse trionfato agli Oscar, aprendo una breccia nel mercato, probabilmente a quest’ora Hwang Dong-hyuk starebbe ancora cercando qualcuno disposto a credere in lui.
La bolla di Parasite è scoppiata?

A un certo punto però il mercato si è inevitabilmente saturato e, in un fenomeno simile all’esplosione delle serie spagnole dopo La casa di carta, sono iniziati a uscire anche prodotti discutibili, fatti apparentemente con il solo scopo di sfruttare la galoppante corea-mania (come il k-drama Black Knight, ve ne abbiamo parlato qui). Viene dunque da chiedersi quale sia la situazione oggi, a quattro anni dall’uscita di Parasite, e quanto sia intatta la bolla creata da Bong Joon-ho.
La produzione di film e serie TV coreane è progressivamente calata nell’ultimo anno, registrando un arresto notevole rispetto al periodo d’oro post 2019. Tornando a Squid Game, la seconda stagione è in lavorazione già da due anni, e pare non uscirà prima del 2024. Si ha la percezione che l’entusiasmo verso la serie stia scemando, e se una volta i social erano invasi da maschere con segni geometrici, ora rimane solo un vago sentore di Dalgona biscuit.
La quiete dopo la tempesta
Le cause di questo calo possono essere in parte trovate nel pubblico, inizialmente attratto dalla novità di un mondo così distante da quello a cui era abituato ma al quale, una volta diminuita l’euforia iniziale, ha rinunciato per rientrare nella propria sicura e accogliente zona di comfort. Il secondo problema è da imputare alle piattaforme di streaming e alle case di produzione: bombardare lo spettatore saturando il mercato così tanto e così velocemente è facile porti a un arresto improvviso, una quiete dopo la tempesta.
Insomma, sembra proprio che il riflesso di Parasite stia smettendo di illuminare le produzioni coreane. Non possiamo sapere se l’interesse da parte del pubblico si riaccenderà come una volta o se il periodo d’oro sia già finito. Forse serve solo un po’ di tempo di assestamento prima che ritorni in auge come prima, cosa che noi ci auguriamo caldamente.