A partire dal 2024, per poter accedere alla candidatura all’Oscar per il Miglior Film, ci si dovrà attenere a dei nuovi standard formali. L’Academy si muove sulla scia di numerosi organi e istituzioni che di recente si sono attivati per favorire una partecipazione eterogenea al settore del cinema.
In un momento storico in cui si manifesta l’urgenza di dar spazio ai modi d’essere di tutti, per l’organizzazione cinematografica più importante al mondo è essenziale fare un passo in questa direzione.
L’entità delle nuove regole degli Oscar

Sulle nuove normative, il presidente dell’Academy Rubin e il CEO Hudson hanno dichiarato: “Speriamo che questi standard di inclusione possano favorire un cambiamento duraturo nel nostro settore.” Tra gli altri, anche Alfonso Cuarón ha commentato scettico queste modifiche.
Tali presupposti riguarderanno gruppi sociali sottorappresentati quali donne, persone con disabilità, membri della comunità LGBTQIA+ e facenti parte di minoranze etniche come asiatici, afroamericani, sudamericani, indigeni o mediorientali.
Inclusività sullo schermo e non solo

Nell’edizione di quest’anno, in onda il 12 marzo, i titoli che concorrono al premio si limiteranno ad autocertificare il loro adempimento ai princìpi d’inclusione. Le nuove regole in vigore dal 2024, invece, si suddivideranno in vari standard: conditio sine qua non per accedere alla statuetta più ambita dell’Academy. Ma andiamo ad analizzare nel dettaglio questo rimodernamento.
Lo standard A
Il primo standard, nominato A, fa riferimento alla rappresentazione cinematografica: i requisiti sono tre, e bisogna soddisfarne almeno uno. Per ciò che concerne i personaggi principali (A1), almeno uno degli attori deve appartenere a un gruppo etnico tra quelli sottorappresentati. Sempre a livello di cast (A2), almeno il 30% degli attori secondari deve provenire da almeno due categorie etniche o sociali sottorappresentate. L’ultimo sottogruppo è relativo a trama e tematiche del prodotto filmico (A3), e richiede che all’interno del film si espandano soggetti relativi a uno dei gruppi precedentemente menzionati.
La categoria B degli Oscar
Lo standard B è dedicato alle maestranze e alla troupe, e bisogna, anche qui, soddisfare almeno uno dei requisiti tra quelli elencati. La clausola B1 riguarda i capi dipartimento: due mansioni tra cui regista, scenografo, costumista, truccatore, devono essere occupate da gruppi etnici e sociali sottorappresentati. La seconda condizione (B2) poco si discosta dalla prima, e prevede l’occupazione di almeno sei ruoli secondari da parte di provenienti dalle comunità sottorappresentate. Il sottogruppo B3, poi, richiede che la troupe si componga per almeno il 30% da gruppi sociali di cui sopra.
Lo standard C
Lo standard C consta di due princìpi, da rispettare entrambi. Il criterio C1 affronta l’apprendistato retribuito di persone provenienti dai gruppi sottorappresentati: un minimo di due tirocinanti per le minor e quattro per le major da inserire nei campi di produzione, marketing ed effetti speciali. La clausola C2 incorpora la formazione professionale di questi stagisti sotto la guida di persone conformi allo standard B, quindi anch’esse parte di gruppi sottorappresentati.
Il criterio D per l’Oscar al Miglior Film
L’ultimo standard si rifà ad un unico criterio: quello del marketing e della distribuzione. Il gruppo D1 prevede la presenza di dirigenti di marketing, pubblicità e distribuzione che siano parte delle minoranze etniche o sociali sottorappresentate.
Spinta innovatrice agli Oscar o apparenza?

C’è chi ha gridato alla svolta orwelliana degli Oscar e definisce questa una scelta politica: la decisione non è stata immune dalle critiche di membri del settore e non. Molti reputano la svolta dell’Academy tutt’altro che inclusiva. È piuttosto un deterrente nei confronti di opere degne di vittoria ma non confacenti ai criteri sopra indicati. Ma l’ottemperanza a queste regole è davvero così discriminante come la si fa sembrare?
Basta analizzare le modalità di questi provvedimenti per capire che la rivoluzione degli Oscar è perlopiù fittizia. I requisiti da rispettare sono solo due su quattro: condizione sufficiente affinché tutti i candidati al Miglior Film degli ultimi anni rientrino ugualmente nella categoria; in altre parole, avrebbero facilmente via libera anche all’edizione 2024.
L’inclusività che prescinde le regole

Se c’è un film che può essere considerato un vero e proprio caso in questo senso, è Everything Everywhere All At Once dei Daniels, in concorso quest’anno anche per Miglior Film. Pur non dovendo conformarsi obbligatoriamente al regolamento -che sarà in vigore dal 2024-, la pellicola è un vero esempio del vento di cambiamento che sta pian piano smuovendo l’intera industria cinematografica.
Il racconto di Evelyn, proprietaria di una lavanderia, inaspettatamente gettata nel multiverso, è candidato a 11 statuette. Tra queste, Migliore Attrice per Michelle Yeoh, malese di origine cinese e Migliori costumi con Shirley Quata, di origini giapponesi. Il film concorre anche nelle categorie Miglior Attrice/Attore non protagonisti, rispettivamente per Stephanie Hsu, di origini cinesi e Ke Huy Quan, vietnamita. Solo da questi dati superficiali, la pellicola risulta essere il più grande esempio di inclusività della premiazione 2023, nonostante questa sia ancora scevra da vincoli ufficiali.
Sono stati gli Oscar del 2016, quelli ‘So White’ per mancanza di candidati neri, a dare il via a questa rivoluzione in senso etico. La necessità di maggior coinvolgimento nelle questioni collettive si è diffusa in alcune delle più importanti vetrine cinematografiche del mondo (si veda la decisione della Berlinale di accorpare Miglior Attore e Attrice in un’unica categoria).
Tuttavia, la posizione adottata dall’Academy è tutto tranne che scandalosa: i nuovi criteri sono un tentativo di inserirsi su un flutto sociale già in movimento, senza snaturare in alcun modo la rappresentazione artistica che gli Oscar incarnano.