Nowhere è l’ultimo thriller spagnolo di casa Netflix. Il regista Albert Pintò si trova dunque al suo terzo film, dopo aver diretto Matar a Dios e Possession – L’appartamento del diavolo. Si tratta in questo caso di un thriller di sopravvivenza, quelli alla Cast Away, 127 Ore o Gravity. Insomma, un solo personaggio, una sola location, ma tanto da sviscerare. Sembrerebbe in effetti che le possibilità di fare un film del genere e renderlo accattivante o innovativo siano state esplorate tutte, eppure ecco che ogni anno questo tipo di prodotto ci viene riproposto più volte. E ogni volta ci chiediamo: si salverà o no il protagonista?
Nowhere: la trama
Mia è una donna incinta costretta a scappare dalla Spagna a causa di una durissima legge imposta dal governo: uccidere tutte le persone che non contribuiscono alla produzione di risorse per lo stato. Questo perché il paese si trova in un periodo di grave carestia, e sembra essere l’unica soluzione eliminare donne incinte, anziani e disabili. Mia e suo marito Nico scappano, ma durante la fuga sono costretti a separarsi e si imbarcano per l’Irlanda all’interno di due containers diversi. Durante la notte una tempesta fa sbandare la nave e il container in cui si trova Mia cade nell’oceano.
In questo momento prende vita la vera anima del film, che vede Mia sola in mezzo al nulla, e senza alcuna possibilità di essere salvata. Intraprende una guerra contro la morte, cercando di salvare se stessa e il figlio che sta per nascere. Ma per quanto può resistere?
La debolezza del film è nella protagonista

L’obiettivo di Mia è sopravvivere, ok. Ma il motivo dietro a questa sua lotta senza fine pare sempre meno chiaro. Sarebbe troppo semplice ricondurre tutto alla sua volontà di tornare tra le braccia del marito, oppure al pensiero di essere una buona madre per un figlio che forse non uscirà mai da quel container. Tutto ciò che pare definire il personaggio è la sua famiglia, Nico e Noa, loro figlia, proposta nei momenti retrospettivi. Non una capacità, una passione, un sogno, qualcosa che davvero possa farti sentire come lei.
Non è una critica al fatto che in un film di oggi una donna sia ridotta ad essere “solo una madre”, ma proprio alla scrittura del personaggio, troppo poco profondo, superficiale. Fa riflettere il fatto che il film l’abbiano scritto in quattro persone, e nell’unico personaggio non ce ne sia nemmeno una.
La forza del film è nella protagonista
Il film grava tutto sulle spalle della protagonista Mia, interpretata da Anna Castillo. Nonostante il materiale a sua disposizione non sia il massimo, Castillo riesce comunque a offrire un’interpretazione degna di nota, tanto che la sua performance è la nota più positiva di tutto il lungometraggio. Solo lei e qualche espediente registico riescono a rendere il film credibile e tangibile. Solo lei riesce a dare a Mia il tormento di cui ha bisogno per essere reale. Tutto il resto è solo roba di sopravvivenza vista e rivista, coi tipici cliché e scene dall’andamento surreale.
Le conclusioni su Nowhere

Il film di Pintò resta a malincuore un film usa e getta, che nemmeno riesce ad eccellere sotto molti punti di vista. Forse si poteva spingere di più sulla parentesi distopica del film, abbandonata quasi subito, e offrire al personaggio di Castillo una profondità maggiore. Questo però non avrebbe cambiato la realtà che affligge il genere, ovvero che è stato esaurito. Quest’anno abbiamo avuto anche altri film, come ad esempio Inside (recensito qui) che ci ha deluso nonostante l’ottimo Willem Dafoe.
Dovremmo accettare la fine di questo genere di film? Non sapremmo dirvelo, magari un giorno uscirà qualcosa di veramente innovativo. Ma è lampante che Nowhere è un film che potrebbe apparire interessante solo a chi non ha mai visto un thriller di sopravvivenza.