Mayor of Kingstown prosegue con l’episodio settimanale, il secondo: Di Fronte al diavolo – Staring at the Devil. L’incipit della seconda stagione mostrava i resti di una città distrutta, sia sul fronte interno, ovvero quello del carcere, sia sul fronte esterno: le strade, i quartieri.
La mancanza di gerarchia nelle gang ha demolito dunque quell’equilibrio su cui Mike (Jeremy Renner) si muoveva come un funambolo su un filo precario.
La guerra iniziata in carcere, microcosmo dell’intera Kingstown, ha avuto però riflessi soprattutto sul piano personale, e il secondo episodio li mostra tutti, e su ogni singolo personaggio. Da Bunny, capo gang spacciatore, a Mike e Kyle e soprattutto, li mostra su Iris.
Mayor of Kingstown e le scelte stilistiche
La guerriglia nel cortile del carcere di Kingstown sembrava sedata. Ma ecco che gli sceneggiatori ci portano su una festa di quartiere, interrotta da una sparatoria, che si trasforma, nel corso dei minuti, in un un massacro. Nessuno viene risparmiato, così come lo sguardo di noi spettatori, trovandoci a indugiare un po più del solito rispetto ad altre serie dal taglio crime, su ogni angolo della casa, alla ricerca spasmodica di superstiti. Non serve esplicitare il verdetto, perché la camera, con movimenti documentaristici convulsi, stile hand-held, fa il resto.
Il secondo episodio mostra un ulteriore elemento particolare nella sua costruzione. Si tratta di apposite scelte del linguaggio, apprezzabili nella versione in lingua originale. La versione doppiata è già disponibile su Paramount+.
Mayor of Kingstown: l’arte nel linguaggio

Data l’incertezza nel trovare i responsabili del quartiere, Mike cerca di carpire più informazioni possibili dai membri delle due fazioni, crips e bloods. In effetti, altri non sono che le effettive divisioni che ad oggi ancora governano parte del territorio statunitense.
Bunny sostiene infatti che non c’è un leader ad aver ordinato il tutto: sono solo gruppi che dal basso si divertono ad impersonarlo. “Wagging the dog”, che è un modo altro per riferirsi a chi o cosa ha in pugno il potere. Ma è anche il modo di Bunny per affermare che la sparatoria è un tentativo per distogliere l’attenzione da qualcosa di più grande.
Furono De Niro e Dustin Hoffman a portare alla ribalta l’espressione, con il film Sesso & Potere (Wag the Dog). Proprio Hoffman, che con Tutti gli uomini del presidente aveva già lanciato “intrafottere”.
Altra espressione particolare viene pronunciata proprio da uno dei membri morenti dei bloods: “Everything is going south” – sta andando tutto a rotoli. Quel “South – Sud”, che qui riporta all’idea di caduta, l’aveva tanto utilizzata Mike nella prima stagione, ricordando al fratello come le gang della parte nord per via dei commerci con il lato canadese, fossero le uniche davvero pericolose. Ma è ora Kingstown, il sud, che sta andando a picco.
Un patto col diavolo

Mike McLusky è una sorta di antieroe, disposto a scendere a patti col diavolo in persona pur di riportare lo status quo in città. Ma questa volta i diavoli sono quattro: l’idea di arrestare, sotto accordo, i quattro leader delle gang più spietate (tra cui Bunny), in modo da farli penetrare nel carcere dove l’autorità non esiste più, per ristrutturare una leadership. Siamo ad un punto di non ritorno, e Bunny, come Mike, ne è consapevole. E infatti gli chiede di rimanere a guardare mentre l’arresto viene messo a punto.
Il piano, per quanto in classico stile sceneggiato poliziesco americano, non è poi così assurdo se inserito nel quadro statunitense. La questione sul sistema carcerario, che avevamo introdotto nell’analisi del precedente capitolo, è sempre stata particolarmente delicata, e soprattutto, la sottile linea blu che divide “guardie e ladri”, spesso si annulla.
Lo dimostrò il cosiddetto Esperimento di Stanford: 24 studenti reclutati per impersonare casualmente secondini e prigionieri, si trasformarono in meno di una settimana in belve, tra violenze e stupri collettivi. Non una realtà troppo distante.
Ferite insanabili

Abbiamo osservato Mike trovarsi davanti a bambini carbonizzati, pene capitali, eppure mai come in questo momento assistiamo alla rottura dell’animo dei personaggi. Soprattutto, quello di Iris. Lei, che credeva di aver trovato in Mike una casa, ora sente di non averne mai conosciuta una.
Il rapporto tra Mike ed Iris, perfettamente trasposto sullo schermo è anche il filo rosso dell’episodio. Cosa sono loro due? Niente. Cosa hanno passato insieme? Niente. Questa la perenne risposta dei due. E quando la protezione testimoni tenta di ridarle una vita, Iris ritorna nei consuetudinari meccanismi di difesa, tornando all’unica vita che conosce, come oggetto, come schiava di Milo, nascosto all’interno di una chiesa.
Il secondo episodio rappresenta la messa in scena di tutte le paure e le incertezze dei personaggi manifestate in due stagioni. Si trattava solo di un “prolungare l’inevitabile”, come afferma Mike stesso.
In sostanza, nessuno sa perché rimanere a Kingstown o perché partire, come Kyle, che pensava di trovare una vita diversa verso nord. Ognuno è dove non vorrebbe essere. I personaggi di Kingstown sono un pò come il gruppo di soggetti che Billy Joel individuava in Piano Man: individui a se stanti persi in un bar, bravissimi a recitare battute, bravissimi ad accendere una sigaretta, ma mai, mai nel posto dove vorrebbero essere.
Per altri approfondimenti sui prossimi episodi di Mayor of Kingstown continuate a seguirci su CiakClub.it.