L’odore della notte torna al cinema. E lo fa dalla porta principale, come è giusto che sia. Restaurato in versione 4K dal Centro Sperimentale di Cinematografia, il film sarà disponibile da oggi in numerose sale del nostro Paese. Il secondo dei tre lungometraggi dello sfortunato Claudio Caligari, autore ermetico e fortemente indipendente dall’apparato mainstream nostrano, uscì nei cinema nel 1998 e, nonostante il quarto di secolo che ci separa dalla sua data di distribuzione, mantiene inalterato il suo fascino e il suo significato più profondo, quantomai attuale.
Il film contribuì a lanciare alcuni degli attori più rappresentativi del cinema romano contemporaneo (Valerio Mastandrea, Giorgio Tirabassi e Marco Giallini) ed è perfettamente inserito nella logica artistica del suo regista, fungendo da tassello centrale della sua ufficiosa trilogia sulla periferia romana (gli altri due lungometraggi sono Amore tossico, del 1983, e Non essere cattivo, del 2015, ndr). In occasione della nuova distribuzione cinematografica del film, ecco dunque il nostro pensiero riguardo all’opera “di mezzo” del corpus artistico Claudio Caligari.
Sangue e rapine nelle borgate romane

L’odore della notte è un film sporco, violento, amaro. Forse inaspettato per il cinema italiano, sempre tendente a produzioni incanalate su binari sicuri e già percorsi, ma quantomai necessario. Oggi come allora. Idealmente ispirato cinema “periferico” di Pier Paolo Pasolini (genio tutelare dichiarato del regista di origine piemontese), il secondo film di Claudio Caligari è una fortissima denuncia alla situazione umana e sociale delle periferie italiane. Una denuncia ambientata a fine anni Settanta, ma più che valida nel 1998 e, ahinoi, ancora oggi.
Il protagonista della pellicola, Remo Guerra, Caronte che attraverso la sua voce fuori campo ci accompagna per tutta la vicenda, è un poliziotto che svolge la sua mansione nella periferia romana. Durante il giorno svolge il suo lavoro con durezza e prepotenza, non mancando di sfruttare la sua posizione a suo favore. Di notte invece, insieme ad alcuni sfaccendati delle borgate della Capitale, rapina i ricchi della zona, inseguendo un ideale riscatto sociale che si tramuta alla prima occasione in cieca violenza. L’obiettivo delle sortite notturne di Remo non è tanto quello di arricchirsi quanto quello di dare uno sfogo alla sua esistenza in panne e annoiata attraverso imprese sempre più rischiose e avventate. La sua lenta e inesorabile autodistruzione non si ferma davanti a quello che di buono la vita gli propone (un bar, una ragazza) ma devia verso un sottobosco di criminalità sempre più viscoso che non lascia alcuno scampo.
Il disagio sociale dei protagonisti è ritratto in modo ineccepibile e spietato. È chiaro: Caligari pareggia per loro, li compatisce, li capisce e spinge gli spettatori ad immedesimarsi con i loro problemi e con le loro azioni. Senza giustificarli, il regista mette in luci le loro stupide e avventate imprese, schiaffeggiandoci con un fatto che non si può ignorare: questi giovani sono stati traditi e la colpa non risiede in un singolo uomo o in una singola istituzione, ma è diffusa. Sono stati traditi dai ricchi, che li escludono dal loro benessere. Sono stati traditi dal potere, che non li tutela ma che anzi addossa loro colpe che in realtà non li riguardano. E sono stati traditi dalla società, che col boom economico aveva promesso prospettive che non si sono avverate. I protagonisti sono dunque sì criminali, ma sono anche vittime e, come tutti, meritano di essere quantomeno ascoltati.
Claudio Caligari, cinefilo tra Scorsese e Pasolini, il noir e il neorealismo

Se l’ambientazione è quella delle borgate romane tanto care a Pasolini, vero e proprio aedo della vita di strada del secondo dopoguerra italiano (attraverso le opere letterarie prima, e i film poi), i personaggi centrali sono profondamente internazionali, chiaramente ispirati alla tradizione noir e decadente del cinema di Paul Schrader e, soprattutto, di Martin Scorsese (come se questi due autori si potessero davvero scindere negli anni di cui parliamo). Remo Guerra, ispirato da istanze sociali forti ma certamente incapace di incanalare positivamente la sua protesta, è una interpretazione nostrana del Travis Bickle di Taxi Driver. Arrabbiato, furibondo anzi, verso una classe dirigente che lo ha abbandonato al suo destino, lasciandolo marcire in una periferia putrida, povera e inospitale, Remo è l’esempio di una intera generazione delusa da aspettative non esaudite.
Valerio Mastandrea, tornato così violento solo di recente con un ottimo film campione d’incassi, mette in scena un personaggio grottesco, cupo e instabile, l’incarnazione della rabbia che serpeggia nelle periferie e che, ancora oggi, anno domini 2023, non si è placata. Le azioni del suo personaggio, spesso assurde e controproducenti, dettate più da una distorta visione del martirio sociale che da reali istanze rivoluzionarie, si fanno esempio universale della decadenza e della dissociazione dei ragazzi delle borgate. Della Capitale, ma non solo.
Attraverso il suo pensiero e il suo stile, Caligari fa propri gli stilemi del cinema noir straniero e del cinema neorealista italiano, mettendo in luce a modo suo una situazione impossibile da ignorare, lo stesso procedimento che fa anche con le altre due pellicole. Con Amore tossico, sotto la lente del regista abbiamo la diffusione dell’eroina, con questo la situazione di crescente disagio delle periferie e con Non essere cattivo abbiamo la sintesi dei precedenti due temi. Un cinema impegnato fatto come si deve. E che ci manca parecchio.
Perché L’odore della notte è così attuale?

Il ritorno in sala di un film non scontato come L’odore della notte è una grande notizia, per gli appassionati e per il cinema in generale, ed è sicuramente una delle opere più interessanti in sala a novembre 2023. Il film, nonostante il suo quarto di secolo di età, è quantomai attuale. Il disagio espresso dai ragazzi di periferia di Claudio Caligari non è scemato, anzi. Se possibile si è rafforzato e diffuso, trovando valvole di sfogo in modi simili a quelli messi in scena da Mastandrea e compagni. Anche per questo il film (e, più in generale, l’intera filmografia di Caligari, seppur ridotta) è così efficace. Perché anche a distanza di tempo riesce ad evidenziare e a raccontare problemi e vicende che, per quanto un certo tipo di politica e di stampa cerchino di stigmatizzare, ridurre o ignorare, sono reali e presenti. Senza banalizzarli, ma raccontandoli attraverso il cinema come solo i migliori sono capaci di fare.
La celebrazione di un grande regista come Claudio Caligari è un dunque riconoscimento doveroso ad un grande autore del nostro cinema ed è segno che l’attenzione per il buon cinema, fortunatamente, non è scemata. Anzi. E non possiamo fare altro che ringraziare che sia così.