RECENSIONE – NO SPOILER
È il 1995 e su tutti i grandi schermi dilaga la febbre di Toy Story, prodotto destinato, di lì a breve, a diventare un vero e proprio cult dell’animazione in CGI. Tanto semplice quanto rivoluzionario per tutti gli spettatori del tempo, il micro quadro originalissimo “pixariano” dipinto da John Lasseter arrivava per guidare grandi e piccoli alla scoperta di un mondo sommerso, quello dei giocattoli, protagonisti felici e gelosi del loro regno incontaminato: la stanza di Andy.
L’arrivo di un certo, istrionico, Buzz Lightyear avrebbe presto cambiato le carte in tavola; e ora, nel 2022, è finalmente arrivato il momento di svelarne il perché. Con il Lightyear di Angus MacLane ne comprendiamo le origini, il temperamento, la prontezza, ma anche la cocciutaggine e la fierezza da space ranger, prima dell’indimenticabile atterraggio sul morbido letto del piccolo Andy. È la centralità del personaggio, con la sua introspezione psicologica a guidare il film, eclissando quei classici aspetti tematici amati dalla Pixar, qui ridotti solo ad alcuni brevi accenni.
Ne soffre anche l’universo di Toy Story, a cui questo Lightyear non sembra volersi particolarmente dedicare, né con partecipazione sul piano narrativo, né su altri reparti. Ci sono però anche punti di forza, come alcune nuove scoperte interessanti sul piano dei personaggi, e alcune soluzioni tecniche che contribuiscono indubbiamente a rendere il film irresistibile per gli amanti dei grandi Blockbuster anni novanta. In breve, un film da collocare certamente prima di un cult, ma che non vuole andare oltre.
Il vero Buzz e il vero oltre: la trama
Il Buzz che abbiamo modo di conoscere in questa nuova trasposizione Disney/Pixar è il Buzz delle origini, un giovane Space Ranger torturato dai sensi di colpa per aver confinato il proprio equipaggio su un pianeta inesplorato e pericoloso. Ora, infatti, per via della sua inconfondibile testardaggine, si trova a dover trovare un piano di fuga, e riportare a casa la propria squadra.
Ma mentre i giorni passano, i tentativi sembrano sempre più vani e problematici. Ben presto, il nostro eroe scoprirà che a ogni missione corrispondono due o più anni in più per tutti coloro che lo attendono con ansia alla base. Due, poi tre, e ancora quattro fino a quello che è un risultato inatteso, destinato a cambiare per sempre il corso della storia. Con l’aiuto di Sox, un piccolo aiutante in “formato” gatto, Buzz arriva infatti a capo delle proporzioni ottimali per portare finalmente a termine il suo progetto, ma a fine missione il gap temporale che lo attende è di ben sessantadue anni.
Ne verrà a conoscenza una volta atterrato trionfante alla base, ora situata in un pianeta mutato e dominato da una forza non ben identificata. Da qui in poi, e dall’essere solo e incontrastato nelle sue scelte, Buzz si troverà anche a condividere il suo cammino con un gruppo di improbabili eroi; un gruppo con cui potrà riscoprire il classico detto “L’unione fa la forza”, e soprattutto una nuova esperienza che lo porterà a riconsiderare la sua posizione egocentrica e indisponente nei confronti del prossimo.
All the way around Buzz
Il film di Angus MacLane, dunque, è un titolo che riprende abbastanza fedelmente quei temi che, in lungo e il largo, in questi ultimi anni, abbiamo imparato ad apprezzare dietro le produzioni della Pixar. Ciò nonostante, Buzz non sembra davvero provare a colpire il segno, eguagliando quanto abbiamo imparato a conoscere nel corso degli anni. Se vogliamo fare un esempio, a sostegno di questa affermazione, possiamo subito andare a interpellare il piano narrativo.
La trama, in sé, lavora sulla linearità senza quegli eccessivi salti che possano causare confusione nel pubblico; ma la messa in pratica è decisamente più problematica. Infatti, sebbene il tempo proceda spedito e serrato, il prodotto sembra confezionato su una misura prestabilita, che predilige alcuni brevi focus, spesso tenuti in piedi dalla comicità tipica degli standard Pixar. A questo proposito, possiamo rifarci alla piccola star e new entry, il gatto bionico Sox, che durante l’intero corso del film non manca di offrire molti spunti per una risata piacevole, sia per i più grandi, sia per i piccoli.
Ma dall’altro lato è anche il piano stesso dei personaggi che lascia qualche dubbio in merito ai riferimenti a cui Lightyear dovrebbe fare credito. All’interno della storia poco e niente ci aiuta a ravvisare un che di familiare con Toy Story, se non ovviamente il centrale space ranger; qualche tentativo in questo senso viene fatto dalla sceneggiatura – almeno nei primissimi minuti di film – ma si tratta di un sforzo sbiadito e facilmente rimovibile. Potrebbe quindi sorgere spontanea la domanda: Lightyear è un prequel o uno spin-off?
Spazi tecnici in Lightyear
Nonostante tutto, dobbiamo certamente dare atto a Lightyear di essere una produzione interessante e particolarmente dotata dal punto di vista tecnico. Appurata la duplice collaborazione tra Disney e Pixar, è necessario fare anche qualche riferimento ai piani del dietro le quinte. Spicca al piano della regia il nome del già citato Angus MacLane, nel 2016, già alle prese con lo spin-off Alla Ricerca di Dory, titolo che gli aveva fornito l’occasione di entrare in stretto contato con il Lasseter di Toy Story.
Il cast, per quanto riguarda la versione originale, presenta invece alcuni nomi (e soprattutto) voci interessanti. Abbiamo Chris Evans nei panni di un altro “captain”, il protagonista Buzz (Alberto Malanchino per versione IT). Lo seguono a ruota Uzo Abuda (Alisha Hawthorne) di Orange is the New Black, il regista di Jojo Rabbit Taika Waititi, ora nelle vesti del goffo Mo Morrison. Ultimo ma non meno importante, un grande collaboratore di casa Pixar, il Peter Sohn di Up e Ratatouille, ora alle prese con il personaggio del fedele e geniale Sox.
In conclusione, un ultima grande considerazione va ancora al soggetto, forgiato a metà tra avventura e ironia, che qui ricordiamo per l’omaggio all’amore senza frontiere di genere. A dargli voce abbiamo ancora lo stesso MacLane, seguito da Jason Headley e il Matthew Aldrich del coloratissimo Coco.
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