L’ultimo film del colosso americano La Sirenetta ha raggiunto traguardi notevoli, nonostante il vociare che si è fatto fin dai primi trailer dopo l’annuncio. Nonostante si sia ormai perso il conto dei live-action che Disney ha sfornato nell’ultima decade, c’è stato un tempo in cui riprendere vecchi classici in chiave realistica era una cosa singolare. In un mercato che sembra ormai saturo di questo genere di prodotti e oberato dal cosiddetto effetto nostalgia, analizzare nel modo più neutrale possibile un fenomeno tanto presente come questo potrebbe essere utile per avere una sguardo al passo con la contemporaneità.
La Sirenetta come pretesto: il fenomeno live-action oggi

Con più di quindici titoli usciti ad oggi, il fenomeno di riproporre vecchie storie con nuove tecnologie sembra essere diventata la politica di punta della Disney. Il primo e più caro obiettivo che la multinazionale continua a foraggiare da anni, nonostante il continuo e tutto sommato rinnovato successo di pubblico che ogni nuovo live-action porta, solleva ogni volta di più discorsi contrastanti. Il fulcro del dibattito si sofferma sulla criticità di perpetrare ancora e ancora la medesima operazione. Non solo questo, ma molta critica si è profusa in attacchi circa la qualità e l’artisticità di questi film.
Un primo passo da fare è sicuramente distinguere le semplici copie carbone, prese paro paro dalle storie originali, dalle (non così poche) rivisitazioni interessanti. A prescindere poi dall’effettivo risultato di queste ultime, è di primaria importanza non dimenticarsi che è sempre meglio fallire provando che non provare affatto. Nel primo caso può esserci evoluzione, nel secondo ci sarà solo una sterile e triste ripetizione, tendente all’immobilità. È chiaro ed indiscutibile che di mezzo ci sono interessi economici, riguardanti principalmente le properties storiche che, indipendentemente da tutto, attirano pubblico e fanno incassare, ma il cinema non può e non deve ridursi solo a questo.
Se infatti abbondano pellicole live-action come La bella e la bestia, Aladdin e Il re leone che praticamente nulla di nuovo o originale apportano ai predecessori (sia in termini narrativi che estetici), dall’altra parte abbiamo comunque risultati davvero molto interessanti che riescono a rimodellare il materiale originale dando, se non qualcosa di davvero originale, almeno una nuova vita e una ragion d’essere a quella prima storia. Casi come Meleficent, Il libro della giungla o Dumbo mostrano l’effettivo potenziale sopito sotto l’apparente pigrizia creativa.
Il problema dell’inclusione a tutti costi

Un altro problema che sembra emerge dalle recentissime politiche del colosso americano è quella dell’inclusione a tutti i costi. In un mondo oramai dominato dal politicamente corretto, il discorso dell’inclusione è sacrosanto, soprattutto per un’azienda tanto in vista come la Disney. La difficoltà nel raccontare ancora quelle storie così com’erano, troppo distanti dalla contemporaneità è evidente e degli aggiustamenti sono doverosi per attualizzare non solo la storia in sé ma anche lo stesso messaggio insito in essa.
Il problema è che le scelte portate avanti in questo senso sono talmente surreali da divenire grottesche, così da trasformare una giustissima lotta in una parodia non voluta. Per questo potrebbe essere molto più efficace creare nuove storie con nuovi protagonisti in grado di ereditare quel luminoso passato, che siano altrettanto potenti e immortali, piuttosto che inserire forzatamente diversità laddove non è affatto ragionata. Gestire questione così complesse e delicate è tutt’altro che semplice, ma il passo è davvero breve: i più nobili intenti posso ribaltarsi in un attimo.
Una missione (quasi) impossibile

Parlando di potenzialità, il più grosso problema insito nel realizzare una rielaborazione di un prodotto animato in un live-action sta proprio nell’approccio che si decide di adottare. In questo senso non è percorribile la strada della semplice riproposizione passo passo perché altrimenti si va inevitabilmente incontro ad un appiattimento, non solo narrativo ma tecnico ed estetico. Si tratta di strumenti diversi. La libertà che permette il disegno e l’animazione in generale è pressoché infinita, così come il live-action ha dei limiti tecnici più evidenti ma presuppone una più facile immersione. Ma questi sono solo un paio di esempi.
Non deve quindi passare il messaggio che questo tipo di operazione dà vita necessariamente a brutti film. Anche La Sirenetta in sé non è certo tremendo, come abbiamo già detto nella nostra recensione, ma ha piuttosto il rischio intrinseco di schiacciare ciò che nel senso più generale del termine può essere definita come creatività. Il punto sta forse proprio nel riconoscere i differenti punti di forza dei due strumenti. Capire che l’animazione non dovrebbe sovrapporsi al live-action e viceversa, significa essere poi in grado di valorizzare tutto il resto.
La Sirenetta è solo la punta dell’iceberg di quello che è oggi il fenomeno Disney. Ma se il soldo è l’unico obiettivo, arriverà il momento in cui precipiterai rovinosamente. Speriamo che il grande colosso dell’intrattenimento ci faccia riscoprire quella magia di cui ci eravamo innamorati. Ne è sicuramente capace.