Il 23 settembre 2023 su Infinity+ arriva La famiglia Bélier, film franco-belga che nel 2014 ha voluto raccontare la comunità sordomuta con un misto di dramma, commedia e storia di formazione. L’attrice protagonista, la giovane Louane Emera, si è persino aggiudicata il Premio César come Miglior promessa femminile. Tuttavia, il film è stato bersagliato di critiche negative proprio dalla comunità sordomuta, che si è sentita mal rappresentata dalla pellicola e ha addirittura lamentato che La famiglia Bélier avesse generato ulteriori stereotipi negativi sulle persone affette da sordità o mutismo.
Non può che sorprendere, dunque, scoprire che CODA – I segni del cuore, vincitore di ben tre Oscar tra cui Miglior film l’anno del secondo schiaffo più famoso della storia dopo quello di Anagni, sia un remake de La famiglia Bélier. Il film è stato largamente elogiato per la sua rappresentazione della comunità sordomuta, raccogliendo grandi consensi tra pubblico e critica. Cosa separa la gogna de La famiglia Bélier dal podio di CODA? Siamo forse stati troppi severi nel giudicare il prodotto francese, o CODA ha davvero qualcosa in più da offrire?
La famiglia Bélier

Nel film del 2014, la sedicenne Paula Bélier è l’unico membro della sua famiglia a non appartenere alla comunità sordomuta. Madre, padre e fratello minore sono privi di udito e parola e fanno frequente affidamento su Paula come mezzo di comunicazione col resto del mondo, che non sembra sforzarsi di comprenderli. Paula sceglie di entrare a far parte del coro della scuola per stare accanto al ragazzo per cui ha una cotta, Gabriel, e scopre di avere un vero e proprio dono per il canto. Tuttavia, la sua famiglia è restia ad accettare la passione di Paula, che sembra creare un’ennesima barriera comunicativa nel loro rapporto.
La famiglia Bélier trova il suo punto di maggior forza nel racconto di formazione del personaggio di Paula e nell’interpretazione di Louane Emera, un’adolescente molto credibile. L’esecuzione e la scelta dei pezzi cantati, poi, sono un vero highlight del film. La commedia verte spesso sugli equivoci e la sessualità, ma senza mai oltrepassare il limite cinepanettone. I momenti drammatici hanno la tendenza a ricercare la lacrima, talvolta con troppa insistenza, ed è proprio in questi punti che, per amor di pathos, il film compie degli scivoloni sul trattamento del sordomutismo. La famiglia Bélier si sorregge su fondamenta di buone intenzioni, ma non sempre riesce a stare in piedi. Per goderselo davvero, bisogna essere indulgenti con diverse ingenuità.
La famiglia Bélier: le critiche

Ma quali sono queste ingenuità che hanno condotto La famiglia Bélier al massacro? Innanzitutto, l’utilizzo della lingua dei segni. A quanto pare, nel film sono presenti diverse imprecisioni nell’utilizzo di questo linguaggio, tant’è che la comunità sorda ha dovuto aiutarsi con i sottotitoli. Va fatto presente, poi, che nessuno degli attori presenti nel film appartiene alla comunità sordomuta, il che genera un certo paradosso se l’obiettivo della pellicola era promuovere l’inclusione delle comunità diversamente abili. Inoltre, l’interpretazione dei personaggi sordomuti è stata vista come macchiettistica e caricaturale, insomma: poco rispondente al vero.
Ma forse il problema maggiore sta nella rappresentazione del rapporto tra la comunità sordomuta e le persone udenti e parlanti. Nel tentativo di dipingere quel fortissimo legame che unisce genitori e figli, la famiglia di Paula sembra dipendere completamente dalla ragazza, lasciando trapelare il concetto erroneo che le persone non parlanti o non udenti non siano in grado di essere indipendenti. Se le prime due problematiche potevano essere facilmente risolte assumendo del personale adatto, sull’ultima c’è poco da fare. La famiglia Bélier è pur sempre un film su persone diversamente abili scritto e diretto da perfettamente abili e non è facile mettersi nei panni di chi sperimenta il mondo in un modo completamente differente dal nostro, il preconcetto (sbagliato) è sempre in agguato.
CODA – I segni del cuore

Nel 2021, Philippe Rousselet, produttore de La famiglia Bélier, decide di provare di nuovo a raccontare questa storia, ma con maggiore accortezza. Regia e sceneggiatura sono nelle mani di Sian Heder, l’obiettivo è reinventare, correggere il tiro e riuscire trasmettere quelle buone intenzioni che hanno animato anche il film del 2014. La storia è pressappoco la stessa, ma con qualche intelligente modifica. La famiglia Rossi, proprietaria di un peschereccio, è composta dal padre Frank, la madre Jackie, il fratello maggiore Leo e la figlia Ruby, unica udente e parlante del nucleo familiare. I membri della famiglia di Ruby possono contare su una caratterizzazione molto più forte rispetto al film precedente e sono spesso visti interagire, senza l’intermezzo di Ruby, con personaggi parlanti e udenti.
Se ne La famiglia Bélier era quasi tenuto segreto che tre quarti dei suoi componenti fossero sordomuti, in CODA (acronimo di child of a deaf adult, “figlio di un adulto sordo”) il sordomutismo e la penuria dei mezzi della nostra società per accomodarlo vengono apertamente affrontati. I momenti patetici della pellicola francese, ricchi di frasi ad affetto ma spesso inappropriate, sono sostituiti da scene focalizzate su ciò che lega Ruby alla sua famiglia, più che sulla barriera comunicativa che li separa. In generale, un approccio più realistico alle tematiche della comunità sordomuta, che non ne dipinge la vita come una tragedia, pur tenendo delle numerose problematiche che comporta, oggi, essere una persona diversamente abile nella nostra società.
CODA è il film perfetto sul sordomutismo?

Ovviamente, la risposta è no. Che sia ben chiaro, anche dietro le quinte, i passi avanti rispetto al film francese sono stati fatti: tutti i membri della famiglia di Ruby sono effettivamente interpretati da attori sordi, fra cui spicca la splendida Marlee Matlin, già protagonista di Figli di un dio minore sullo stesso tema, film che le valse l’Oscar. È anche vero che ci sono stati molti responsi positivi da parte della comunità sordomuta, al netto di qualche fantasiosa libertà creativa. Cosa manca allora a CODA per essere il film perfetto sul sordomutismo?
Torniamo allo stesso, ultimo punto della discussione su La famiglia Bélier: perfettamente abili che scrivono di diversamente abili. Non fraintendete, è più di una “semplice” questione di principio: “se non è la mia esperienza, non posso parlarne”. Pur tralasciando l’erroneo preconcetto che le persone non udenti non possano capacitarsi della passione altrui per la musica, mettiamola così. C’è davvero bisogno, per girare un film su personaggi sordomuti, di incentrarlo su ciò che una persona sordomuta non può sperimentare? Si ritorna sempre ad un sostrato tragico, il focus principale è sulla mancanza. Chi scrive non è una persona con disabilità, quindi si fa da parte e si rimette alle parole più esperte di Lennard Davis, il figlio di un adulto sordo e accademico focalizzato sulle disabilità:
“Questo genere di film è legato a una realtà diversa: è come se gli uccelli fossero ossessionati dalla realizzazione di film in cui gli esseri umani sono infelici per la loro incapacità di volare”.
E voi avete visto La famiglia Bélier? Sapevate che CODA ne fosse un remake? Ditecelo nei commenti!