King Arthur, recensione: rivisitazioni storiche d’inizio 2000 (d.C.)

King Arthur è un ottimo esempio dei film storici che Hollywood ha sfornato nei primi anni 2000. Decine di reinterpretazioni libere di quei periodi storici che sono più popolari e che più attraggono pubblico, con un realizzazione tutta particolare e discutibile.
King Arthur, recensione: rivisitazioni storiche d’inizio 2000 (d.C.)

Prima della riproposizione fatta da Guy Ritchie nel 2017, ci fu un altro grande blockbuster pressoché omonimo che ruotava attorno al ciclo bretone. Questo fu proprio il King Arthur di Antoine Fuqua datato 2004. Un’insolita riproposizione di quei miti e quelle leggende conosciute praticamente da tutti con alle spalle l’enorme macchina Hollywoodiana e pieno di grandi personalità di quel cinema. Da Clive Owens a Keira Knightley, questo film è l’esempio per eccellenza delle rivisitazioni storiche dei primi anni 2000.

Una classica operazione di inizio 2000

Una delle battaglie di King Arthur
Una delle battaglie di King Arthur

Come anticipato, King Arthur è il classico rimaneggiamento storico fatto da Hollywood con le epoche che più attraggono il pubblico. Con interpreti non sempre sul pezzo, che fin troppo spesso sembrano essere messi lì per caso (ma poi ci si ricorda della questione visibilità), con una Keira Knightley troppo fuori ruolo e anche Clive Owens davvero poco credibile, forse in una delle sue peggiori interpretazioni. Ma non è certo colpa degli interpreti se tutto si ammanta di una strana e stridente patina, le ragioni stanno ovviamente nelle scelte fatte a monte. Ma ne parliamo più avanti.

Durante le due ore e venti che dura il film, anche se alcune scene e sequenze sono effettivamente abbastanza ispirate e suggestive, tutto si perde in un nulla di fatto. Nonostante la ricerca di un’epicità data dal setting, risulta tutto troppo forzato, costruito con un ritmo non bilanciato che arranca molto. Figlio di una stortura della storia in favore dell’estetica che caratterizza questo tipo di operazioni. I combattimenti costituiscono una delle parti meglio riuscite di questo King Arthur. Tante battaglie, belle coreografie e una buona gestione dell’azione.

King Arthur: meno magia, più storia

Una scena tratta dal film
Una scena tratta dal film

Tornando a parlare delle scelte fatte a monte, l’idea che ha portato avanti questo film sul ciclo bretone, è stata quella di rappresentare la mitologia di re Artù con un piglio più storico, lasciando in secondo piano il fantasy, la “magia” che caratterizza queste storie. La scelta di eliminare la parte più fantastica, se si sarebbe potuta sfruttare bene, qui fa più perdere al film che non guadagnare: in qualità, in scrittura e persino nella messa in scena. C’è una base che avrebbe potuto anche funzionare ma pecca terribilmente nella realizzazione. Ne rimane un affresco arturiano davvero povero.

Ma non solo questo. Nonostante infatti la volontà di rimanere “fedele” alla storia (in linea con alcune scoperte archeologiche dell’epoca), in King Arthur sono presenti molti falsi storici e situazioni poco verosimili (prima fra tutte la gestione della componente romana).

Una scelta discutibile, una realizzazione critica

Nel complesso il film che ne viene fuori è troppo ingessato per essere puro intrattenimento, troppo grossolano per essere preso sul serio, un problema che accompagnerà sempre prodotti sotto questa stella maledetta. È la classica operazione che vuole assomigliare a Il gladiatore ma a conti fatti finisce per assomigliare più a Troy (di cui peraltro è coetanea), l’apice che ha spinto Brad Pitt a giurare di fare solo storie di qualità. King Arthur è un film che di certo non resterà nella memoria, di un periodo davvero strano per la storia del cinema.

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