Il grande Lebowski torna al cinema: riscoprendo il cult dei Coen

Circa venticinque anni fa, nel 1998, usciva il film dei fratelli Coen, intitolato Il grande Lebowski. Il film, oggi, lunedì 6 novembre, viene riproposto sul grande schermo. Insomma, per chi volesse passare un paio d’ore a ridere in un cinema, ecco la soluzione che fa al caso vostro. Questa è la nostra recensione.
John Goodman e Jeff Bridges sul set del film Il grande Lebowski

Ad un film non serve necessariamente aver rivoluzionato un determinato genere cinematografico, per essere considerato un grande film. Non è nemmeno fondamentale riuscire ad apportare delle innovazioni tecniche, che siano così significative da ribaltare gli schemi. Alcune volte, basta anche solo rimanere nei cuori degli spettatori ed essere tramandati, fino a diventare cult, facendosi largo nell’immaginario collettivo. Il grande Lebowski ne è un esempio. Forse per alcune delle sue battute indimenticabili, magari per i personaggi a cui ha dato vita, o potrebbe anche essere per la sua capacità di rappresentare dignitosamente diversi decenni, senza assumere, però, una precisa collocazione temporale.

Il grande Lebowski, la trama

Jeff Bridges in una scena del film Il grande Lebowski

Siamo a Los Angeles ed è il 1991. In quella città, come in tante altre e come tanti altri, vive un signore di nome Jeffrey Lebowski. Ma non si fa chiamare con questo nome. Infatti, il protagonista del racconto è conosciuto come Drugo. Un hippy non eccessivamente dedito al lavoro, per usare un eufemismo, ma che, piuttosto, preferisce passare le sue giornate fumando marijuana e bevendo alcolici, soprattutto il suo preferito, il White Russian. Il suo passatempo? Semplice, quello del bowling. Nel senso che passa gran parte del suo tempo in una sala a giocare. Insomma, sembra tutto abbastanza tranquillo.

Ma la quiete che ha sempre caratterizzato la sua vita, viene improvvisamente tormentata da uno scambio di persona. Proprio così. Un giorno due scagnozzi di Jackie Threehorn, un magnate della pornografia, raggiungono Drugo a casa, intimandolo di pagare tutti i debiti con il loro capo. Ed in effetti, cercavano proprio un certo Jeffrey Lebowski, ma si tratta di un suo omonimo. Un miliardario rimasto disabile dopo la Guerra di Corea. Come potete immaginare, questa è solo la miccia, che innesca tutta una serie di eventi, inutile specificarlo, a dir poco divertenti, insieme agli amici Walter, veterano del Vietnam, e Donny.

La lenta strada per il successo

Jeff Bridges è Jeffrey Lebowski in una scena del film Il grande Lebowski

Il grande Lebowski è il numero sette nella lista della filmografia di Ethan e Joel Coen, meglio conosciuti come i fratelli Coen. A differenza del sesto lungometraggio, intitolato Fargo, che nel ’96 aveva riscontrato un ottimo successo da parte del pubblico e della critica, il film in questione, quando è uscito due anni dopo, aveva ricevuto un’accoglienza un po’ più fredda. C’è voluto del tempo per conclamare il suo successo, ma alla fine è arrivato. Probabilmente perché non era cercato. Non c’erano molte pretese. Ma alla fine, con il passare degli anni, si è insinuato nell’immaginario e nella cultura popolare.

Anacronismo, noir e Guerra Fredda

John Goodman è Walter in una scena del film Il grande Lebowski

Il film diventa uno dei film più iconici del genere comico degli anni ’90. I fratelli Coen lo rendono possibile, grazie ai personaggi che mettono in piedi e grazie all’immaginario che il protagonista riesce a rappresentare con il suo bizzarro stile di vita. I registi stessi hanno specificato che il film, per quanto sia icona degli anni ’90, è alquanto anacronistico, poiché riprende elementi di fine ’50 e inizio ’60. La stessa sala bowling, per esempio, ci permette di fare un salto nel passato rispetto agli anni ’90. Ugualmente, le intricate vicende basate su scambi di persona, intrighi, malavita ed indagini riprendono quelle del genere noir degli anni ’40 e ’50. Basti pensare al film Il grande sonno che, realizzato da Howard Hawks nel ’46, presenta diverse sfaccettature e dinamiche narrative in comune con Il grande Lebowski.

Oltre al genere comico, che si ibrida, per certi versi, a quello del thriller, i due registi non si lasciano fuggire l’occasione di fotografare la situazione politica dell’America negli anni ’90, ancora con il fiatone post Guerra Fredda. Lo fanno avvalendosi di alcuni personaggi. Come Walter, reduce della Guerra del Vietnam, i cui incubi e discorsi patriottici sono messi comicamente in scena, rendendolo un personaggio fondamentale, così come il Lebowski miliardario, costretto alla sedia a rotelle dopo la Guerra di Corea, mostrando goliardicamente e, a volte in modo grottesco (ma funzionale) gli effetti di simili tragedie. Insomma, un film americano.

La valigetta ne Il grande Lebowski

Sam Elliott in una scena del film Il grande Lebowski

Al centro della narrazione c’è il presunto rapimento di Bunny che, giovane e provocante, è la moglie del miliardario e colei che si è indebitata con Threehorn. La dinamica degli eventi vuole che una valigetta, contenente (forse) un milione di dollari, diventi un elemento fondamentale per l’intero intreccio. Infatti, è proprio questa a dar vita ad una catena di eventi, trasformandosi probabilmente nell’elemento (o espediente) narrativo principale della storia. Tutti vogliono quella valigetta. Tutti la cercano. Tutti la bramano. Vogliono i soldi al suo interno, ovviamente. Ma questi soldi non li vediamo mai… il contenitore diventa più importante del contenuto.

Il motivo risiede nel fatto che, appunto, non abbiamo una prova tangibile del denaro. Eppure, quella valigia scura è come il miele per le api. Non vi ricorda nulla? Davvero non state pensando ad un altro oggetto simile? Anzi, praticamente identico? Esattamente, la valigetta di Pulp Fiction, di cui ancora oggi si tirano fuori mille teorie sul suo contenuto, anche se c’è una sola risposta giusta. Insomma, possiamo definire anche quella de Il grande Lebowski, un MacGuffin? Così come era stata definita quella del film di Tarantino? Più o meno, ma non a livello, poiché per quanto sia importante anche in questo lungometraggio, non lo è così tanto come nell’altro esempio.

Allora, detto questo, cos’altro possiamo aggiungere? Ben poco, a dire la verità. Le chiacchiere ora stanno a zero. Il grande Lebowski torna al cinema in un formato d’eccezione per tutti voi, nessuno escluso. Sia per chi non vuole privarsi di un rewatch come si deve sul grande schermo, sia per coloro che non lo hanno mai visto e che hanno la fortuna di perdere questa “verginità” sulle comode poltrone di una sala. Intendevamo per il film… ricordate che siete pur sempre in luogo pubblico, mi raccomando!

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