Nel 2009 fa il suo esordio in sala Hachiko, film di Lasse Hallström con Richard Gere, basato sulla storia del cani Hachi – vera e propria leggenda su suolo nipponico – e remake di un film giapponese del 1987. Il film si rivela immediatamente un grande successo al botteghino e un fenomeno di massa, andando a incastonare nella mente di milioni di spettatori la malinconica storia di quel cane e del legame con il suo padrone. Dopo tredici anni Hachiko torna in sala per un unico giorno il 13 dicembre, pronto a riportarci alla mente la forza dei legami, quelli veri e indissolubili.
La trama
Siamo in Rhode Island e il giovane Ronnie, durante la classica giornata delle scuole americane dove ogni studente racconta la storia del suo eroe, inizia a parlare del particolare rapporto tra suo nonno e il cane Hachi. Un giorno Paker (Richard Gere), tornando dalla scuola in cui aveva il ruolo di professore di musica, trova in stazione a Bedridge un piccolo cucciolo di Akita Inu. Decide in un primo momento di portarlo a casa ma la moglie, reduce dal dolore della scomparsa del loro precedente cane, gli chiede di distribuire manifesti per cercare i proprietari originali. Dopo aver notato il tipo di rapporto che si stava creando tra Parker e il cucciolo fa un passo indietro e accetta di buon grado il nuovo arrivato. Parker si separa raramente da Hachi, tanto da portarlo a scuola dove chiederà all’amico e collega Ken, di origine giapponese, informazioni sulla razza del cane. La storia prosegue, il rapporto tra i due cresce d’intensità e ogni mattina l’Akita Inu accompagna il professore alla stazione, stesso luogo in cui puntualmente lo va a prendere al suo ritorno. Una mattina però Hachi non vuole che Parker vada, cerca di distrarlo e impedirglielo in ogni modo. Quello stesso giorno viene colto da un malore e muore. È in questo momento che la storia di Hachi passa da un grande racconto d’amore a quella leggenda che perdura ancora oggi. Da quel giorno in poi e per i dieci anni successivi Hachi aspetterà Parker alla “loro” stazione. Presto il cane diventerà una figura di riferimento locale, tanto da essere accudito dalla popolazione locale e diventare lui stesso una ragione di turismo e pellegrinaggio. Infine la narrazione torna al presente dove vediamo i compagni di Ronnie rapiti dal racconto per poi osservare il ragazzo uscire dalla scuola e unirsi al suo cucciolo di Akita Inu, anch’esso chiamato Hachi.
La storia vera e il film giapponese
Come dicevamo nell’incipit di questo articolo la storia di Hachi, nome che in giapponese richiama il numero otto considerato molto fortunato e ricchi di significati positivi. La vicenda del cane e del suo padrone, il professore e agronomo giapponese Hidesaburō Ueno, si svolse tra gli anni ’20 e gli anni ’30 del secolo scorso. La stazione di riferimento non era ovviamente situata in Rhode Island ma quella di Shibuya, uno dei quartieri più noti e importanti di Tokyo e luogo dove, ancora oggi, si può ammirare la statua dedicata al cane. Il film con Richard Gere non è il primo ad essere stato dedicato a questa fantastica storia. Nel 1987 Seijirō Kōyama portò sullo schermo in modo molto fedele la vicenda, affidando il ruolo del professore a Tatsuya Nakadai (volto di molti film di Kurosawa) e divenendo un fenomeno commerciale senza precedenti su suolo nipponico. Lo stesso remake americano, come noto, è diventato un grande successo commerciale. E non è assolutamente un caso. Il segreto sta tutto nella natura più profonda della vicenda, in quel bisogno di legami indissolubili che tutti noi percepiamo con costanza.
Il nostro bisogno di legami
Amore incondizionato, fedeltà, un rapporto che non cessa di esistere neanche dopo la morte. Tutti noi abbiamo una paura sopita, nascosta nei meandri della nostra mente e pronta a stanarci nei momenti più impensabili. Paura di morire e quindi di abbandonare tutto ciò che amiamo e di lasciare l’amore che ci viene donato quotidianamente. L’assenza di legami, o meglio la cessazione degli stessi, come uno Yōkai in grado di tormentarci per l’eternità. È su questo timore persistente che si inserisce con forza la storia di Hachiko, perfettamente tradotta su schermo da Lasse Hellström con il suo stile ovattato e rassicurante. Un film in grado di tenerci caldi, di mostrarci che non tutti i legami sono destinati a finire con noi e la nostra esistenza. L’affetto e l’amore che abbiamo dato, i rapporti che siamo stati in grado di costruire in grado di rimanere e perdurare nel tempo. La storia di Hachi e del suo padrone non è solo un grande racconto di rapporti tra uomo e animale ma simbolo di tutti i legami puri e incondizionati. E tornare in sala il 13 dicembre per ricordarci come ci si sente a essere amati nel modo più puro possibile è sicuramente una gran bella idea.