“Grace Kelly è stata sufficiente per far credere ad Hollywood in se stessa”
Grace Kelly, un nome che incarna perfettamente l’eleganza, la bellezza e la grazia che hanno contribuito a renderla un’icona senza tempo.
Lei, in un’era di voluttuosità, con il suo fisico androgino e la folta chioma bionda, rappresentava un nuovo ideale di femminilità. Il portamento garbato, la postura impeccabile, l’innata timidezza suggerivano un allure ben diversa da quella predominante nel cinema degli anni 50.
In un mondo di Marilyn Monroe, Grace Kelly – un po’ come Audrey Hepburn- possedeva un erotismo enigmatico, subdolo.
Alfred Hitchcock trovò in questa sua caratteristica ciò che cercava: la suspense nella sensualità. Una seduzione sottile, mai esplicita né volgare, anzi carica di mistero. La descriveva con l’espressione ossimorica “ghiaccio- bollente”, alludendo ed evidenziando quel dualismo tipico della Kelly. Il maestro della suspense si accorse con Grace del “potenziale della malinconia”.
Il sodalizio tra Hitchcock e Grace
“Si dice spesso che il signor Hitchcock disprezzi gli attori. Ma in realtà li tratta in un modo speciale, ed è in grado di ottenere da loro esattamente quello che vuole in una performance. Il suo humour inimitabile li mette a loro agio, mentre la sua pazienza inesauribile dà loro tutta la sicurezza di cui hanno bisogno. Certo, a volte non fa altro che stremarli finché non ottiene ciò che vuole.”
La collaborazione tra l’attrice e il regista fu sicuramente un’accoppiata vincente, Grace recitò in tre film di Hitchcock: “Il delitto perfetto”, “La finestra sul cortile” e “Caccia al ladro”.
In quel momento la Warner aveva deciso di sfidare la concorrenza televisiva imponendo la realizzazione di un film a colori e in 3D. Il maestro Inglese era ben consapevole dell’effimerità del cinema stereoscopico: “It’s a nine-day wonder, and I came in on the ninth day“.
In effetti quando le riprese de “Il delitto perfetto” furono concluse, l’interesse per il cinema 3D era in rapida discesa.
Grace Kelly aveva anticipato i tempi: “già allora sapevamo tutti che non sarebbe stato proiettato in 3D. Sapevamo che era una moda in declino e che il film sarebbe uscito in una versione normalissima, ma il signor Warner voleva così“
In Europa “Delitto perfetto” fu distribuito solo in versione bidimensionale, come ricordava François Truffaut: “Questo film è interessante perché è stato girato in tre dimensioni. Sfortunatamente, in Francia l’abbiamo visto appiattito perché, per pura pigrizia, i direttori dei cinema non volevano distribuire gli occhiali all’entrata delle sale“
Ovviamente la proiezione in versione “appiattita” non fu indifferente per la pellicola: le riprese del film erano stato pianificate da Hitchcock con precisione e accuratezza affinché permettessero di sfruttare la profondità che la nuova tecnica offriva per una resa estremamente drammatica.
Ad esempio, nella scena in cui Margot impugna le forbici, ciò che viene posto in primo piano – a discapito dell’attrice stessa – è l’oggetto del delitto.
La protagonista non è più Grace, ma la sua mano.
Con il 3D Hitchcock voleva enfatizzare la componente geometrica dello spazio, permettendo agli attori di muoversi in maniera coesa nel set.
“… Risultano chiare le intenzioni dell’autore e, nei momenti cruciali, si indovina un effetto assai vivace. Distinguiamo due scopi precisi. In primo luogo, si vuol rendere il delitto più avvincente: mentre l’assassino cerca di strangolare Grace Kelly, questa fa perno su se stessa, si piega, col dorso contro il tavolo, e tende il braccio dietro le spalle per afferrare le forbici, situate all’estremità anteriore del campo. Quindi, pianta le forbici nella schiena dell’aggressore, il quale, a sua volta, ruota su se stesso e cade all’indietro, sulle forbici, verso l’obiettivo. In secondo luogo, il sistema tridimensionale consente a Hitchcock di mettere in evidenza una certa chiave, che è anche la chiave dell’enigma poliziesco. Infine, c’è un terzo scopo, ma meno evidente: inserire gli attori in un universo chiuso, teatrale, e offrire allo spettatore il punto di vista del posto di platea. Infatti la macchina da presa è collocata il più delle volte in una fossa.”
Del resto il progetto, originariamente, era un’opera teatrale scritta da Frederick Knott per la BBC che divenne un successo a Londra e Broadway.
Delitto perfetto: il simbolismo del colore
Tony Wendice, ex tennista, scopre – a causa di una lettera- la relazione clandestina tra la moglie, Margot, e un giovane scrittore. Consapevole del rischio di perdere la cospicua eredità della donna, assolda -ricattandolo- un pregiudicato per uccidere la consorte. Il piano è studiato nei minimi dettagli, ma qualcosa andrà storto…
Prima inquadratura: Grace Kelly, in una banale e discreta vestaglia beige, è la ricca moglie-trofeo di un ex tennista professionista. Poche scene dopo, riappare con uno sgargiante abito rosso: il suo amante, scrittore di romanzi gialli, è appena tornato a Londra. Nello stesso appartamento dove poche ore prima aveva fatto colazione con il marito, ora abbraccia Mark. Hitchcock indaga un soggetto al cui interno vi sono malumori, dissidi, angosce dovute a un rapporto di coppia non esattamente idilliaco.
Il maestro della suspense mostra due crimini: l’assassino e l’adulterio.
Nell’atmosfera chiusa, bigotta e perbenista degli anni ‘50 per le donne la vita amorosa, sessuale e domestica era davvero poco invidiabile.
Margot non è un’assassina, ma è comunque “colpevole” di un crimine sessuale. Ma Grace Kelly, nonostante i pregiudizi e le antipatie che una donna adultera avrebbe scaturito nel pubblico statunitense di quegli anni, riesce a conquistare gli spettatori. Sicuramente gioca un ruolo fondamentale la magistrale interpretazione di Ray Milland, la sua personalità calcolatrice e crudele rende Margot la vera vittima. Un uomo disposto a uccidere la moglie per denaro è, del resto, più deplorevole di una tresca con un giovane letterato.
Hitchcock decide, inoltre, di sfruttare al meglio la potenzialità del Technicolor, il simbolismo del colore è evidente dall’inizio: vestaglia beige (prima dell’arrivo di Mark), abito rosso fuoco (incontro con Mark), e da qui, man mano che la faccenda si incupisce, passiamo dal bordeaux, al blu, al grigio scuro, fino ad arrivare al marrone.
La finestra sul cortile: la vera Grace Kelly
Costretto sulla sedia a rotelle da un incidente sul lavoro, che gli ha procurato la frattura di una gamba, Jeff, un fotoreporter d’azione, passa il tempo spiando col teleobiettivo i suoi vicini di casa.
Il nuovo hobby lo porta a trascurare la fidanzata, Lisa Fremont, un’ex modella diventata acquirente di moda, oltre che indaffarata socialite.
La relazione tra i due sembra essere giunta a un punto di rottura, secondo Jeff i reciproci stili di vita non sono compatibili tra loro: Lisa non sopporterebbe la sua esistenza di rinunce dedita esclusivamente alla sua passione; e, lui, non potrebbe privarsi della sua vita avventurosa per i noiosi eventi mondani della fidanzata.
L’ipotesi – tanto agognata da Lisa- del matrimonio sembra piuttosto illusoria per Jeff.
“Non è la ragazza per me. È troppo perfetta, è troppo talentuosa, è troppo bella, è troppo sofisticata, è troppo tutto tranne quello che voglio. Lei appartiene a quell’atmosfera rarefatta di Park Avenue e ristoranti costosi… cocktail party. Riesci a immaginarla in giro per il mondo con un vagabondo che non ha mai più di una settimana di stipendio in banca?”
Eppure Lisa non è quello che sembra, quando Jeff è convinto di aver assistito ad un omicidio, la ragazza sorprende il pubblico mettendo in pericolo la sua stessa vita pur di poter ottenere delle prove.
Grace Kelly, ne “La finestra sul cortile”, interpreta un personaggio fin troppo simile a lei: la sua performance rifletteva il suo temperamento naturale.
L’iconica scenografia del film ricorda un po’ i quadri di Hopper, l’artista che, con le sue finestre notturne, indagava il voyeurismo e la solitudine dell’individuo.
La pellicola di Hitchcock gioca sui particolari e, tra questi, spicca la scelta dei costumi, volta ad accentuare il contrasto tra la sofisticata Lisa “che non porta mai lo stesso vestito due volte” e il trasandato Jeff.
Questo arduo compito viene affidato alla costumista prediletta dal regista, Edith Head. Il sodalizio tra le due è sancito.
L’ingresso di Lisa nel suo magnifico abito Ligne Corolle, che bacia appassionatamente un impassibile Jeff, dona alla Kelly uno dei più grandi momenti cinematografici di tutti i tempi. Herbert Coleman l’ha definita “L’inquadratura più bella di una donna che abbia mai visto in vita mia“. Come un eroe addormentato svegliato dal bacio di una principessa, Grace scivola sullo schermo in un’incredibile sequenza soft focus.
Caccia al ladro e la nuova Grace
Grace Kelly lavorerà con il regista britannico in un’ultima pellicola: “Caccia al ladro”.
Girato nell’estate del 1954, molto più leggero nei toni e maliziosamente affascinante, è stato adattato dal romanzo di David Dodge.
Un ex ladro (John) viene sospettato di essere tornato al crimine quando una serie di furti nel suo stile vengono compiuti in Costa Azzurra.
Nel disperato tentativo di trovare il vero colpevole si imbatte in Jessie e sua figlia Frances (Grace).
In questo esercizio di amore, colpa, gioco di ruolo e artificio John e Frances diventano una delle coppie più iconiche di quegli anni.
Hitchcock ha girato sempre in riferimento all’essenziale doppiezza dei personaggi principali:
«Ho fotografato Grace Kelly impassibile, fredda, e la faccio vedere il più delle volte di profilo, con un’aria classica, molto bella e molto gelida. Ma quando gira nei corridoi dell’Hotel e Cary Grant l’accompagna fino alla porta della sua camera, cosa fa? Appoggia improvvisamente le labbra su quelle dell’uomo».
Donald Spoto, biografo della Kelly, affermò che Hitchcock fu l’unico a carpire l’elegante sensualità di Grace e quell’inquietudine malinconica che coesisteva con essa.
Nel 1954 con “Ragazza di Campagna” di George Seaton vinse l’Oscar come migliore attrice. Nel 1956 abbandonò i set – e l’America – per diventare Principessa Grace sposando il Principe Ranieri di Monaco. Proprio il 14 settembre del 1982, Grace Kelly, muore in un terribile incidente, una tragica sorte che l’accomuna all’altrettanto nefasta di Lady Diana.