Fingernails – Una diagnosi d’amore… troppo gentile: la recensione

La Nouvelle Vague ellenica continua a conquistarci grazie alla visione stramba dei suoi registi che portano spesso sullo schermo lo smarrimento dell’uomo contemporaneo. Il giovane Christos Nikou con il film sadico-comico Fingernails - Una diagnosi d'amore mette in discussione i preconcetti sul desiderio e ci racconta l'essere umano volubile.
Riz Ahmed, Jessie Buckley e Jeremy Allen White nel poster del film Fingernails - Una diagnosi d'amore

Leggendo e ascoltando dell’amore, delle relazioni e delle persone più in generale ad un certo punto una sorta di intuizione moderna arriva alla mente: il desiderio è diverso e molteplice. Sembra quasi illuministico a volte pensare che il desiderio possa rappresentare la libertà e l’individualità di ogni singolo individuo e che la nostra personalità, come tali, che quello che davvero vogliamo si possa liberamente e autenticamente sviscerare nonostante le pressioni sociali. Grattando e scavando la superficie di Fingernails – Una diagnosi d’amore di Christos Nikou si trova in questo il cuore delle due ore di film.

Come quando si trova l’acqua sotto la sabbia che salendo in superficie umetta tutto e allora quel tutto, che sembrava arido e incapace di esistere compatto, può prendere un’altra forma. 

La trama

Il tempo: un futuro distopico. Il luogo: l’Istituto dell’Amore. I personaggi: una coppia ed il collega di lavoro di lei. Con questa premessa gli scenari che potrebbero aprirsi sono dei più disparati ma la situazione è molto più distesa del previsto e la malizia sta a zero. 

In un’epoca non precisissima, ma sicuramente moderna (c’è l’acqua calda corrente, le comunicazioni telefoniche ed il food delivery), Duncan un uomo barbuto dal cognome non definito fonda il Love Institute, una società creata espressamente per unire le persone nella maniera più consapevole possibile. L’uomo sviluppa una tecnologia che attraverso il prelievo di un’intera unghia, una per testa, e la sua analisi all’interno di una macchina simile ad un microonde permette alle coppie di scoprire in percentuale l’autenticità e il successo futuro del loro legame. 

Una vera e propria presa di misure del rapporto. Dallo zero al cento per cento. 

L’attenzione del regista e dello spettatore si focalizza su una coppia, quella di Anna e Ryan. Sulla carta sono solidi, si amano e la convivenza funziona a puntino. Risultato del test: 100%. Ma dopo tre anni da quella certificazione la giovane insegnante si chiede se quel numero significhi ancora qualcosa, se il tempo e le circostanze non lo abbiano potuto far variare e vacillare proprio come succede alle sue più intime sensazioni. 

A rincarare la dose di dubbi l’entrata in scena dell’accento posato e britannico di Riz Ahmed nei panni di Amir, nuovo collega di lavoro e supervisore di Anna all’interno dell’Istituto. Lavorando a stretto contatto e guidando le nuove coppie durante gli esercizi di preparazione al test, i due si faranno simbolo di una convinzione: vale sempre la pena analizzare quel che sentiamo di volere e cedere alla messa in discussione anche di noi stessi. 

Il triangolo si! E anche di talento

Jessie Buckley e Riz Ahmed in una scena del film Fingernails - Una diagnosi d'amore

Prendendo come faro ispiratore il filosofeggiare di Sartre, capiamo bene che il desiderio e la forza vitale che deriva dalla libertà di esprimerlo si può palesare se stimolato in una specifica situazione e quindi non in maniera astratta. In parole spicciole: qualcosa causa qualcos altro, e quel qualcosa (qualcuno) innesca nel personaggio di Anna una profonda indagine dei suoi sentimenti verso il suo fidanzato storico. E certamente, sempre per citare Sartre, la libertà ha un peso e delle conseguenze. 

Il qualcosa in questo caso è la nascita silenziosa di un triangolo tra Anna, Ryan e Amir. Due uomini con cui la giovane ha due tipi di interazioni diverse ma che la spingono sempre di più nel flusso dell’introspezione. 

Tre personaggi, tre attori iper contemporanei di talento. 

Lei, Jessie Buckley che è corposa nella sua Anna: è in scena, è presente, ha un cervello pensante, un sorriso affettuoso che si alza verso lo zigomo sinistro, è attenta osservatrice e non rappresenta affatto il classico stereotipo della donna innamorata-devota all’altro.

Lui, la star del momento Jeremy Allen White che conosciamo tutti per la sua recente performance nella serie The Bear, una vera e propria chicca, che secondo noi ha sfornato una seconda stagione anche meglio della prima, già capolavoro. Un character del tutto diverso da quello di Carmy. In Fingernails – Una diagnosi d’amore è un compagno apatico, che vive in funzione del suo lavoro e che quasi risulta marginale nonostante sia l’altro fianco della coppia e non l’elemento esterno. 

L’altro, Amir è Riz Ahmed. L’attore protagonista, vincitore dell’Oscar per il suo ruolo eccellente in The Sound of Metal, qui è fastidiosamente perfetto. Un uomo estremamente credibile: calmo, buon ascoltatore, inglese quindi educato, sensibile, attento, premuroso e super comico. L’intolleranza al glutine è il suo unico neo. 

La nuova faccia greca del cinema 

Christos Nikou è il regista del film Fingernails - Una diagnosi d'amore

Il giovane regista greco dopo questo film, che segna il suo debutto in lingua inglese ed è prodotto e distribuito dal colosso Apple, si può a tutti gli effetti considerare inserito nella cosiddetta Greek Weird Wave, una sorta di Nouvelle Vague proveniente dalla vicina Grecia costruita sul bizzarro e sullo spiazzante. Un movimento che unisce tutti gli elementi del cinema d’autore, la profondità dei dialoghi,  la capacità di innescare riflessioni a profusione, con impianti di natura sci-fi.

Alle orecchie degli esperti del settore il nome di Christos Nikou non è nuovo: oltre ad aver presenziato a diversi festival europei e statunitensi, per le riprese di Dogtooth è stato assistente alla regia di Yorgos Lanthimos (La favorita, Il segreto del cervo sacro) il regista sempre più sulla bocca di tutti dopo il suo successo a Venezia 80 con Poor Things e che per il suo stile a tratti disturbante è stato paragonato a Stanley Kubrick.

Il paragone tra i due è naturale ma non necessario. Nell’arte, che è sicuramente qualcosa di condivisibile e universale per molti versi, c’è da tenere in considerazione che il racconto proposto è la vetrina di un vissuto e di una visione intima e quindi personale. 

Christos Nikou con Fingernails – Una diagnosi d’amore, rispetto alla prepotenza grottesca e mordente del suo mentore, risulta nettamente più sottile ma il suo intento pare certamente non essere quello di somigliare al connazionale. L’unico elemento in comune è l’interesse genuino per le relazioni umane ed il loro approfondimento. E questo nel giudizio è da considerare.

Nikou è intelligente ma non si applica? 

Il mondo di Fingernails – Una diagnosi d’amore non cambia poi tanto da quello che ci circonda. La quota stramba viene coperta da quel piccolissimo, unico espediente tecnologico: la macchina analizza unghie. Un’allegoria della volontà dell’uomo di controllare anche una cosa così mutevole come i suoi sentimenti. 

Sembra essere un pattern del regista greco quello di inserire quell’elemento che differenzia la realtà dalla finzione; lo aveva già fatto in Apples, il suo debutto sul grande schermo, una storia in cui al centro c’è la voglia di ricostruire la propria identità portata via da un solo evento, una pandemia strappa ricordi. 

Considerando la potenza di cui il cinema ellenico è capace, per questo film le aspettative non erano esagerate ma la mano registica è stata molto molto gentile, senza dubbio. L’idea di fondo è curiosa e offre un vasto ventaglio di pretesti di riflessione; forse un po’ troppo grandi da reggere e tutto ad un certo punto risulta dilatato. Manca il fuoco, il quid che scaccia via tutti i momenti incolori e morti della pellicola. O meglio, c’è della tensione ma non è intensa abbastanza da produrre un finale che non sia prevedibile e a tratti senza scopo. 

Detto ciò, non possiamo ignorare la capacità del regista di interessarsi davvero ai personaggi. Permette loro di esistere al di là dei simbolismi sparsi nella narrazione. I molteplici primi piani e silenzi, su cui la macchina si attarda e si sofferma, riescono a far coesistere la logica della scienza con l’irrazionalità dell’animo e delle emozioni, creando in una cornice cromaticamente coerente ed esteticamente piacevole un ritratto complicato tanto quando i legami tra esseri umani. 

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