Finalmente l’alba è il nuovo film di Saverio Costanzo. Per il precedente lungometraggio cinematografico del regista 48enne bisogna risalire al 2014, con l’acclamato Hungry Hearts, ma il grande successo è arrivato nel mezzo, con la produzione delle prime due stagioni de L’amica geniale. Finalmente l’alba ha un cast internazionale ed è attualmente in gara all’ottantesima Mostra del Cinema di Venezia.
E’ uno dei molteplici film italiani in concorso quest’anno, concorso aperto da Comandante di Edoardo De Angelis. Ed è senza dubbio un film che ha diviso il Lido, a dirla tutta con più detrattori che estimatori.
Si può capire come mai. Ci si può magari soffermare sulla poca originalità del soggetto (qualche spunto? Bellissima, La Dolce Vita, La Grande Bellezza, Babylon) o sulla costante “suspension of disbelief” a cui il film costringe lo spettatore. Oppure, si può apprezzare, e non poco, un film glamour, camaleontico, a suo modo toccante, che riesce a fermarsi ad un passo dal kitsch per rendersi piacevole ed intrattenente. Magari un’accorciata al minutaggio si poteva dare, quello si.
Questo lavoro è un’opera strana, imperfetta ma affascinante, e soprattutto è un film italiano in cui interpreti internazionali di prima caratura riescono a trovarsi a proprio agio e a fondersi bene con la produzione che li circonda. Non è cosa da poco.
Finalmente l’alba: la storia

La giovane Mimosa (Rebecca Antonaci) e sua sorella Iris (Sofia Panizzi) una mattina si presentano a Cinecittà, sperando di riuscire a partecipare come comparse ad un grosso blockbuster peplum che si sta girando a Roma, con protagonista la star Josephine Esperanto (Lily James), e coprotagonista l’attraente Sean Lockwood (Joe Keery).
Inizialmente Mimosa non viene selezionata, per la sua reticenza a spogliarsi, ma continuando a vagare per l’enorme set, con un misto di curiosità e timore, incontra proprio Josephine. L’attrice la nota, e sembra prenderla sotto la propria ala: la vuole accanto a sé sul set durante l’ultimo, importantissimo ciak, poi le manda in camerino un elegante abito da sera ed infine la conduce, con sé ed il resto del cast, in una folle, sexy e pericolosa notte.
Mimosa non parla inglese e gli attori americani non parlano italiano, ma questo non ostacola lo spericolato procedere di questa notte romana. Insieme a loro, anche Rufus Priori (Willem Dafoe), gallerista d’arte italo-americano, autista di Josephine e traduttore da inglese ad italiano e viceversa per buona parte della storia. E poi personaggi più o meno storicamente noti, più o meno viscidi o più o meno carismatici della Roma artistica e nottaiola del secondo dopoguerra.
A fare da sfondo a questa vicenda, ci sono anche un chiacchierato omicidio, quello dell’aspirante attrice Wilma Montesi, e la fuga di una leonessa dalle gabbie della produzione Hollywoodiana. Elementi apparentemente superficiali, ma in realtà perfettamente intersecati alla storia di Mimosa, che da questa nottata non uscirà indenne, e non tornerà com’era prima.
Il carisma del cast internazionale

Saverio Costanzo, figlio del compianto Maurizio, a cui il film è dedicato, assembla un cast di respiro globale davvero notevole.
Trovare in una produzione profondamente italiana, mescolate ad interpreti italiani, star internazionali di prim’ordine come Lily James (Baby Driver, Mamma Mia: Here We Go Again!), Joe Keery (l’amatissimo Steve di Stranger Things) e Willem Dafoe (il Goblin di Spiderman e il Van Gogh di At Eternity’s Gate) è abbastanza straniante. Ma l’espediente del set di Cinecittà è un viatico che funziona, anche se viene da chiedersi come sarà la visione di questo film doppiato in italiano, visto che la metà dei dialoghi è in inglese e la non-comprensione verbale tra i protagonisti è un elemento cardine del film.
Lily James è bellissima e magnetica come sempre, qua corredata da una sfarzosa chioma rossa, ma, rispetto all’immagine attoriale dolce e giocosa che abbiamo solitamente di lei, stavolta un’aura indecifrabile e minacciosa aleggia attorno al suo personaggio per tutto il film.
Joe Keery, a dirla tutta, non si discosta troppo dal personaggio che lo ha reso celebre in Stranger Things, in bilico tra “bello e impossibile” ed impacciato ed insicuro bonaccione.
Il piacevole e bonario personaggio di Willem Dafoe forse non sarà particolarmente ben scritto, né approfondito, ma osservare ed ascoltare il leggendario interprete fare da traduttore per gli altri personaggi è un elemento che dona ad un film frenetico un po’ di calma e di calore. Il suo italiano è quasi perfetto.
…e di quello italiano
Alba Rohrwacher interpreta Alida Valli, e pur con uno screentime non elevato, porta a casa, come sempre, il risultato. Poche pennellate dipingono il carattere ed il temperamento dell’attrice-icona del ventesimo secolo, e Rohrwacher sa donarle un intrigante fascino.
Michele Bravi, giovane cantautore italiano noto per la sua vittoria ad X Factor e le sue partecipazione al Festival di Sanremo, spunta fuori in un peculiare cameo nella seconda metà del film, con un improbabile capello biondo, e duetta con Lily James, creando un bel momento musicale ed intenso, a spezzare ulteriormente il ritmo di un film già “instabile” nelle atmosfere e nella narrazione.
Ed infine lei, la protagonista, l’emergente Rebecca Antonaci. Posata, efficace, potente negli sguardi e nei silenzi, dona al ruolo – già visto di frequente – della giovane ragazza che si ritrova travolta dalla torbida Dolce Vita del mondo dello spettacolo, un tocco di eleganza.
Sfarzo visivo e compartimento sonoro ad alto livello

Il budget c’è, e si vede. Dal set di Cinecittà dove i personaggi di Lily James e Joe Keery stanno girando il loro peplum in costume ai locali delle torbide feste e cene romane, le location sono create con cura e rese credibili da una messinscena piuttosto riuscita.
Una sequenza verso metà film, in particolare, mette in scena una specie di inseguimento/nascondino fra i tre personaggi principali, Mimosa, Josephine e Sean, nel mezzo delle rovine romane sulla collina di un ristorante. Illuminati dalla luce della luna, i tre si rincorrono, con divertimento a tratti, con inquietudine in altri. E’ piacevole perdersi per pochi minuti in un setting così affascinante per vederci giocare al suo interno tre ottimi interpreti.
Il compartimento sonoro è un altro elemento forte del film, curato dall’arrangiatore giapponese Taketo Gohara e da Massimo Martellotta. La musica incalza, sferza o accarezza i personaggi a seconda del momento, ed è un mix di classico ed elettronico, effetto straniante per un film ambientato negli anni ’50, che contribuisce all’atipicità di questo film.
“Finalmente l’alba” ci richiede la “suspension of disbelief”
Come già accennato nel primo paragrafo, è comprensibile che una notevole fetta di pubblico possa trovare finanche ridicoli diversi passaggi di questo film, o alcune sue battute artificiose che vorremmo veder relegate solo ad un certo tipo di fiction televisiva. O ancora il suo finale, quasi didascalico pur nel suo essere surreale.
Ma c’è anche una diversa lettura che si può dare di Finalmente l’alba. Se si riesce a sincronizzarsi con il racconto vorticoso e con la sfarzosa ed elegante messa in scena di Saverio Costanzo, si può sospendere il giudizio sulla poca credibilità (o non ottima scrittura) di alcune battute e di alcune soluzioni drammaturgiche, per apprezzare un più grande disegno generale. Anche l’aspirante attrice uccisa e la leonessa in fuga, elementi apparentementi scollegati tra loro e persino raffazzonati, trovano nel finale, magari in maniera grossolana, eppure efficace, un loro compimento che va a braccetto con la crescita personale di Mimosa. La maschere cadono, e la realtà, alla fine, è più chiara di prima.