Lo sappiamo: siamo un po’ in ritardo. Ma quale occasione migliore del compleanno della star assoluta di Diamanti grezzi, Adam Sandler (festeggiato oggi), per riportare alla luce il terzo lungometraggio dei fratelli Safdie?
Il film, uscito nelle sale statunitensi (grazie alla distribuzione della lungimirante A24) a fine 2019, ed entrato poi a pieno titolo nel catalogo Netflix, è stata una delle rivelazioni dello scorso decennio. Capace di mettere d’accordo la critica e il pubblico, la pellicola è ben presto entrata nell’immaginario pop grazie alla storia avvincente e folle, raccontata come solo i due giovani registi sanno fare. Ecco dunque la nostra recensione di questo trip newyorkese targato Safdie Bros.
Diamanti grezzi: la trama di un delirio newyorkese

Howard Rantner (Adam Sandler) è un gioielliere ebreo di New York. Affogato dai debiti, ossessionato dal gioco d’azzardo e con un matrimonio che cade inesorabilmente a pezzi, Ratner si trova tra le mani un prezioso opale nero, ottenuto grazie allo sfruttamento dei minatori africani e del contrabbando. Intenzionato a mettere il gioiello all’asta per saldare un grosso debito con l’avido cognato Arno (Eric Bogosian), il gioielliere ben presto perde il controllo sulle sue azioni, sul suo lavoro e, più in generale, sulla sua vita.
Prima, Howard lascia in prestito l’opale al campione di pallacanestro Kevin Garnett, convinto di fantomatici poteri magici del gioiello, persuaso dal pegno del giocatore: il suo anello di campione NBA (che il gioielliere non esita a puntare in una delle sue scommesse). Poi, per recuperare il suo prezioso, viene trascinato ad un concerto di The Weeknd, dove vede la sua amante Julia (Julia Fox), nel bagno con la pop star. Sempre più vincolato alle sue scommesse, il gioielliere riesce a mettere il suo gioiello all’asta, convincendo il suocero Gooey (l’infinito Judd Hirsch) a partecipare per alzarne il prezzo.
Il tentativo è un fallimento: Gooey finisce per comprare per davvero il prezioso ad una cifra elevata e Howard è così costretto a vendere definitivamente l’opale a Kevin Garnett per rientrare dell’errore. Quando, infine, Ratner sembra aver nuovamente in mano la sua vita (e i suoi soldi), non riesce a resistere ad un’ultima, rischiosissima, scommessa. La più avventata. Quella finale.
Safdie x Sandler: un binomio travolgente

Dopo il frenetico (e riuscitissimo) Good Times, i Safdie Brothers (tra l’altro, sembra in arrivo il loro terzo film, sempre con Adam Sandler protagonista, qui il nostro articolo) erano chiamati ad una scelta importante, cruciale per la loro carriera di cinesasti: proseguire sul modello del film precedente, confermando lo stile che aveva dato loro notorietà, o distaccarsene, magari virando verso un cinema più “canonico”. Non era una scelta semplice, ma la decisione è stata quanto mai chiara. Diamanti grezzi non solo prosegue e perfeziona lo stile già messo in luce nel film con protagonista Robert Pattinson ma lo sublima, lo radicalizza e lo rende ancora più efficace e personale.
I due giovani registi mettono in Diamanti grezzi tutti i tratti che li avevano resi famosi: montaggio rapido, interpretazioni febbrili, confusione calibrata, piani sequenza a seguire i personaggi nei vortici umani che fanno da contorno ai film. Il tutto accompagnato da una colonna sonora che unisce varie sonorità: dal pop alla musica elettronica, fino alla disco music (Gigi D’Agostino a seguire il folle climax finale è ironicamente perfetto) e che contribuisce a rendere ansiogena e frenetica l’atomsfera.
Tutte queste caratteristiche sono perfette allo scopo: la ricostruzione dell’atmosfera della New York di inizio anni Duemiladieci, vera e propria co-protagonista della pellicola, è perfetta, così come la frenesia, la follia e la stupidità del protagonista, messe in scena da un monumentale Adam Sandler, vero e proprio “diamante” dell’opera.
Adam Sandler: what if…?

Proprio sulla prova Adam Sandler, infatti, si fonda tutta l’opera. Il suo personaggio è il centro del vortice di eventi che portano Howard Ratner all’autodistruzione. Il gioielliere non si ferma mai, è sempre in movimento: cammina, parla, sbraita, gesticola, vende, compra, scommette, mente, viene picchiato, corre. Come una trottola impazzita passa da creditori a popstar, da campioni di basket all’armadio dell’amante, cercando di grattare il denaro mancante per saldare qualche debito o, più probabilmente, per racimolare la quota per la prossima scommessa. Un tornado in cui l’attore si muove con destrezza ed espressività.
Candidato ai Golden Globes e a svariati altri premi (ma non, colposamente, agli Oscar), Sandler si portò a casa il prestigiosissimo premio come “miglior attore” al National Board of Rewiew. Un successo che fa sorgere spontanea una domanda: cosa sarebbe stata la carriera di Adam Sandler se si fosse dedicato con maggiore costanza a opere meritevoli? Forse uno dei più grandi what if della storia del cinema recente.
Diamanti grezzi: la cultura pop al servizio della storia

Diamanti grezzi è la dimostrazione che unire l’amore per la cultura pop contemporanea a un’innegabile qualità artistica è possibile. Personaggi come Kevin Garnett e The Weeknd sono inseriti perfettamente nella storia, senza superficialità o ridondanza. I loro volti, notissimi nella cultura popolare mondiale, sono fondamentali a quello che è, probabilmente, lo scopo dei fratelli Safdie.
Se la storia newyorkese travolge e diverte, non vanno infatti dimenticati il prologo e la conclusione dell’opera. Dietro ai sotterfugi dei milionari statunitensi, immersi nella loro ricchezza e accecati dalla loro superficialità, si cela infatti un intero mondo di sfruttamento. I diamanti su cui bisticciano i capitalisti statunitensi sono sporchi del sangue di lavoratori anonimi, la cui sorte è estranea ai protagonisti, interessati solo alle loro frivolezze. Un mondo che anche noi spettatori, nel corso della frenetica opera, tendiamo a dimenticare. Ma che i due registi, alla fine, ci ricordano di tenere ben presente.