A pochi autori degli ultimi decenni è stato accordato il privilegio di ottenere successo di critica e i favori del pubblico praticamente in egual misura. Sicuramente, se dovessimo fare un nome tra questi – oltre all’ormai inflazionatissimo Christopher Nolan – ci sarebbe quello di Denis Villeneuve.
Il regista di origine canadese, di recente tornato alla ribalta per il suo apprezzatissimo Dune (qui la nostra recensione) vanta infatti un exploit di carriera quasi pari a nessun altro nel cinema internazionale contemporaneo. Dai primi (riuscitissimi) esperimenti art house degli anni ’90/2000 ai blockbuster con budget a nove cifre degli ultimi anni, Denis Villeneuve è riuscito a crearsi un profilo di tutto rispetto con soli 10 film all’attivo.
Nonostante un apparente eclettismo di facciata, la filmografia di Villeneuve risulta a ben vedere una delle più coerenti dal punto di vista sia tematico che “atmosferico”. Così, in attesa, di vedere cosa ci riserva il lungimirante e ambizioso autore per il prossimo futuro, è bene guardare anche un po’ all’indietro. Ecco dunque la nostra classifica di tutti i suoi film dal peggiore al migliore.
10. Maelström (2000)
Maelström forse potrebbe essere l’unico film di Denis Villeneuve che bisogna effettivamente definire “eccentrico”. Basti solo pensare che tutta la pellicola è narrata da un pesce a cui stanno per tagliare la testa sul bancone di un oscuro pescivendolo. Il raconto però è quello della 25enne Bibiane, una donna in carriera la cui vita subirà una deviazione in seguito all’aborto e ad un incidente da lei causato.
In questa storia profonda, e solo a tratti grottesca, troviamo tutti i temi cari a Villeneuve: dal connubio tra amore e morte al peso della responsabilità. Una pellicola davvero particolare ed interessante che gioca fortemente sull’atmosfera senza, però, riuscire a catturare davvero lo spettatore. Un film la cui principale nota di demerito è l’essere molto simile al suo predecessore, ma con molta meno incisività.
9. Un 32 août sur terre (1998)
Ed eccoci proprio al “predecessore” citato in precedenza. Anche nel film d’esordio di Denis Villeneuve troviamo un incidente d’auto. Ed è infatti proprio questo fatto ad innescare la vicenda raccontata nella pellicola. L’incidente quasi mortale spingerà la giovane Simone a voler dare una svolta alla sua vita mettendo alla luce un bimbo. A questo pro chiederà all’amico di infanzia, segretamente innamorato di lei da sempre, di aiutarla a realizzare questo desiderio. Lui accetterà a patto che il bimbo venga concepito nel deserto dello Utah.
Per quanto bizzarra possa essere la trama, Un 32 août sur terre risulta un esperimento autoriale ricco di sensibilità. Giocoso, leggero e non prevedibile, il viaggio di Simone svela un’intensità e una profondità che fanno diventare il film un gioiellino da recuperare. Una pellicola silenziosa e potente, dai toni quasi fantascientifici che contiene, in potenza, tutti gli elementi del cinema del regista canadese.
8. Polytechnique (2009)
Con Polytechnique ci troviamo di fronte a toni decisamente più cupi rispetto a quelli trattati in precedenza. Il racconto della strage realmente avvenuta presso il Politecnico di Montreal il 6 dicembre 1989 diventa un modo per mettere in scena una cruda storia femminista di denuncia alla misoginia che permea la società in tutti gli strati.
Forse molto più semplice e immediato rispetto ai suoi primi lungometraggi, il film evita la complessità e la stratificazione per parlare direttamente all’emotività dello spettatore. La lunga sequenza del massacro è infatti un fiore all’occhiello in quanto coinvolgimento e tensione. Un’opera insomma che, a differenza di altri suoi simili, decide di concentrarsi più sulle vittime che sul carnefice, facendone una scelta davvero vincente e “difficile da digerire”.
7. La donna che canta (2010)
La donna che canta è il film che segna il passaggio dal cinema più indipendente alla fama hollywoodiana di Denis Villeneuve. Ma non solo. È anche temporalmente la sua ultima sceneggiatura: da lì in poi si concentrerà più sull’aspetto visivo e tonale del suo cinema.
Incendies – questo il titolo originale – è la storia di due gemelli (Melissa Desormeaux e Maxim Gaudette) che si recano nella patria della madre recentemente defunta per trovare un fratello che non sapevano esistesse. Ma questo viaggio è anche l’occasione per comprendere meglio il passato di una madre che non conoscono a pieno. Nonché l’occasione per il regista di giocare con la temporalità. Complici i continui flashback della narrazione, il disvelamento di un passato sempre più legato al presente diventa l’espediente estetico del coinvolgimento emotivo e della presa spettatoriali.
6. Sicario (2015)
La trilogia della frontiera di Taylor Sheridan non poteva che cominciare al meglio se non con questo film. Alla sua seconda prova hollywoodiana, Denis Villeneuve impacchetta un thriller quasi impeccabile, capace di mescolare sapientemente azione tensiva e introspezione.
Il racconto del confine Messico-USA diventa il modo per raccontare il confine tra la moralità e l’amoralità, tra ciò che è corretto e ciò che è funzionale, tra la vendetta e la giustizia. Anche qui lo sguardo principale è quello di una donna: l’agente Kate interpretato da una perfetta Emily Blunt. Uno sguardo attonito ma lucido che il regista canadese riesce a cogliere con precisione maniacale nella sua minuziosità, pure senza mai rinunciare all’azione più cruda. In poche parole: un thriller umanamente sofisticato dove l’azione reale corrisponde sempre ad un’azione intima e personale.
5. Enemy (2013)
Enemy è di sicuro uno dei progetti più particolari dell’ultimo decennio per il regista canadese. Il film, che prende a piene mani dal thriller, all’horror, fino al dramma psicologico, racconta la storia dell’incontro da parte di un professore, Adam Bell, con il suo doppio, l’attore Anthony Claire.
Sono i temi carissimi a Villeneuve dell’alterità e dell’identità qui a trovare la loro massima espressione; in un thriller allucinato che gioca sul caos e sull’angoscia per intrappolare lo spettatore all’interno della propria tela (di ragno: simbolo più e più volte rimarcato lungo la pellicola). Forse meno rigoroso di altre pellicole più recenti, Enemy stimola più domande rispetto a dare risposte. E punta tutto su un’atmosfera capace di far calare lo spettatore totalmente nella psiche del protagonista.
4. Blade Runner 2049 (2017)
Prendere un classico della fantascienza cinematografica e farne un sequel a 35 anni di distanza potrebbe essere già un’impresa di per sé. Se poi il risultato è un film come Blade Runner 2049, che riesce ad essere allo stesso tempo una prosecuzione e una “replica inversa” dell’originale, allora c’è quasi da gridare al capolavoro.
Lasciate da parte il tema centrale del film di Scott dello scontro tra umanità e artificialità, Denis Villeneuve trova qui terreno fertile per esprimere tutta la sua autorialità. Infatti il film risulta al meglio quando vengono esplorati i concetti cari al regista canadese, quali: il futuro/destino della tecnologia, dell’intimità umana e della società tutta. Un film che arranca un po’ per la costrizione produttiva e il necessario ammiccamento alla fanbase, ma che indubbiamente risulta un’opera complessa (sia tematicamente che visivamente), nonché un film inaspettatamente originale.
3. Dune (2021)
Oltre che l’inizio di una nuova saga, Dune sembra – quantomeno nell’idea – il naturale approdo di Blade Runner 2049. L’adattamento del romanzo di Herbert diventa un’ulteriore occasione per Villeneuve di sottoporre la sua spettacolare visionarietà alla storia di individui alla scoperta del loro posto nel mondo.
Dune conduce lo spettatore alla conoscenza e al progressivo disvelamento di un mondo che si crea di fronte agli occhi di chi sta guardando, spingendo sull’immaginazione. E questo, nonostante la relativa carenza di un vero e proprio plot, cattura l’attenzione senza mai deludere. Che sia questo il blockbuster d’autore definitivo?!
2. Prisoners (2013)
Arriviamo in cima alla classifica con i due titoli che, almeno per chi scrive, rappresentano in modi diversi la quintessenza del cinema di Denis Villeneuve. Prima di arrivare agli approdi fantascientifici degli ultimi anni, il regista canadese ha confezionato infatti quello che è forse il suo thriller più programmatico.
Villeneuve utilizza la storia del rapimento di due bambine in una cittadina della Pennsylvania per dare vita a un calibratissimo racconto di violenza, imperniato sull’impulso alla disumanizzazione. La lenta cupidigia e la brutalità distillate con sapienza nel corso del film rendono la visione di Prisoners quasi difficile da sostenere. Quello di Villeneuve è uno sguardo freddo che non si volta di fronte alla totale mancanza di empatia dei personaggi-maschera e che non cerca dunque alcuna assoluzione o consolazione. Casomai pretende una reazione.
1. Arrival (2016)
E se Prisoners è la richiesta di reazione alla disumanizzazione, Arrival è invece così pieno di empatia da travolgere lo spettatore. Non è un caso che proprio l’empatia e il contatto con l’Altro siano diventati i temi portanti di tutto l’immaginario futuribile villeneuviano. E che a sottolinearlo sia proprio un film come Arrival, in questo senso, inizio e summa della poetica dell’autore.
Forse non una pellicola perfetta, sostenuta da una Amy Adams che fa da bussola intellettuale ed emotiva, ma che riesce ad abbinare un affascinante storytelling ad una profondità tematica davvero notevole. In sostanza, un film sulla complessità della comunicazione che diventa anche il manifesto umano universale del desiderio e della necessità di unità e di comprensione.
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