Delicatessen, recensione: l’orripilante mondo di Jean-Pierre Jeunet

Avete presente quella ragazza con il caschetto corvino ed i lamponi sulle dita? Lei è una creazione di Jean-Pierre Jeunet regista de Il favoloso mondo di Amelie, che prima del successo mainstream ha sfondato la porta del grottesco con Delicatessen. Una bizzarra opera cult che unisce i toni degli horror corporei a quelli della commedia surreale.
Jean-claude Dreyfus in una scena del film Delicatessen

Guardando anche solo il trailer di Delicatessen l’attivazione dei quasi totali 20 muscoli scheletrici che si trovano sotto la pelle del viso è automatica ed il risultato è una miscellanea di espressioni manifesto di emozioni che vanno dal divertito al disgustato.

Premessa: l’approccio giusto, non tanto per comprendere, ma per apprezzare davvero questo sardonico debutto nel cinema di Jean-Pierre Jeunet è quello di una totale rassegnazione al fatto che ci sarà dello schifo in senso ampio: i personaggi sono super iper caratteristici e caricaturizzati, molte scene fanno storcere naso e sopracciglia per quando siano surreali eppure il contesto e la sottotrama sono razionalmente verosimili.

Trama

Seguendo quello che si chiama world-building, ovvero la costruzione totale di un mondo inventato in cui i vari personaggi si spostano e agiscono seguendo regole dettate esclusivamente dal creatore, lo scenario del film è quello della Francia post-apocalittica. In termini temporali non ci vengono forniti grandi dettagli, ma il paese versa in condizioni socio-economiche precarie, se non disastrose. I viveri scarseggiano sempre di più e la valuta monetaria è scomparsa totalmente sostituita dal baratto di mais.  

In questo devastato universo si apre un vero e proprio microcosmo, quello di un palazzo diroccato immerso in un misto di nebbia e caligine, e popolato da un balzano collettivo di personaggi indipendenti ma interconnessi. Centro sia gestionale che metaforico di tutta la baracca è la botteguccia alimentare Delicatessen, gestita dal robusto, a tratti viscido, macellaio Signor Clapet

Salendo di piano in piano,  seguendo il ritmo del carnezziere che fa l’amore con la sua giovane amante su un letto cigolante, si palesano i vari coinquilini tutti perfettamente coordinati nella ritrmo meccanico del sesso: due bambini fumano sulle scale mentre la giovane figlia Clapet che si esercita al violoncello; una massaia spolvera mentre suo marito pompa le gomme della bicicletta; tutti agiscono e tutti raggiungono il culmine di un orgasmo nello stesso momento. Un’apoteosi di elementi che incastonati nel corpo principe del racconto rendono la pellicola quasi quasi poetica. 

A rompere l’equilibrio dispotico, come un sole che fa capolino tra le spesse nuvole brunastre, è Louison un clown disoccupato che si trasferisce nel condominio di Clapet per lavorare in cambio di vitto e alloggio. Durante il suo attento operato da imbianchino e restauratore dello stabile, l’uomo dalla faccia plastica e flessuosa conquista a poco a poco Julie Clapet ed il resto dei coinquilini sfoggiando, accompagnato dall’australiano, uno speciale coltello capace se lanciato di tornare indietro come un boomerang, le sue doti da intrattenitore. Fin qui, nulla di troppo strano, se non che una serie di macabri e raccapriccianti eventi inizia dopo che un disgustoso segreto sul capofamiglia Clapet viene alla luce. 

Uno spezzatino dai sapori particolari

Marie-Laure Dougnac e Dominique Pinon in una scena del film Delicatessen

Delicatessen è quello che potremmo benissimo definire una fricassea di generi e di scelte registiche e stilistiche. Alcune delle quali sono state motivo di screzio tra Jeunet ed il collega messicano Guillermo del Toro, accusato di essersi ispirato troppo esplicitamente ad alcune scene del film francese per la creazione da Oscar di La forma dell’acqua.

La storia si dipana all’interno di dimensioni surreali che sfaldano la realtà per come la conosciamo. Qua e là c’è la commedia pungente tipica del cinema francese, e poi ancora elementi delle distopie futuristiche e degli horror corporei dove non tutto è sangue ma c’è una particolare attenzione al mezzo di violenza e all’aspetto carnale di questa. Tante inquadrature di corpi che si toccano, che si strattonano, che si rincorrono sotto l’occhio della macchina da presa e che si fanno divorare sulla scena. 

Questa vera e propria perla del cinema annoverata tra i film che bisognerebbe vedere prima di passare a miglior vita, secondo lo studioso di Harvard Steven Jay Schneider ed il suo libro 1001 film da vedere prima di morire, è facilmente inseribile nella corrente cinematografica del New Weird o Cinema Weird internazionale. 

C’è una forte contaminazione tra fantasy e horror ed il cosiddetto abbandono al bizzarro è totale. Lo scopo? Provocare nello spettatore un senso di meraviglioso imbarazzo e sconcertamento. Il mezzo? Creature e ambientazioni molto strane e la rigorosissima cura per i dettagli in modo che tutto sia coerente nella stravaganza.

La folle combo creativa Jeunet-Caro

Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro registi del film Delicatessen

Tutto ciò è certamente figlio del passato dei due registi: Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro. Un sodalizio nato con la creazione di premiati cortometraggi come La città perduta e continuato con questo lungometraggio d’esordio. Jeunet lo conosciamo già per Il favoloso mondo di Amelie, un film manifesto di quel romanticismo raccontato in modo strambo e cult apprezzato dal pubblico più mainstream ma che secondo noi della redazione di CiakClub è la sopravvalutata somma di idealizzazioni e cliché.

A Jeunet l’idea per un personaggio completamente distante dal dolcissimo ritratto di Amelie come quello del boutcher cannibalista, gli venne nel 1988, periodo in cui viveva sopra ad una macelleria e sentiva l’operazione del taglio della carne svolgersi molto presto la mattina. All’epoca durante un viaggio negli Stati Uniti trovò il cibo così orribile che pensò sapesse di carne umana. E da qui l’illuminazione.

Entrambi fumettisti, cartoonisti e autori di video musicali Jeunet e Caro sono riusciti a ricreare un’ allegoria socio politica del mondo diviso in predatori e sognatori ma in toni comico-grotteschi. Hanno dipinto atmosfere ciniche e poco consolatorie appoggiandosi a capaci virtuosismi tecnici, realizzando in video effetti speciali per poi gonfiarli in 35mm, selezionando un cast dai volti caricaturali e scenografando il tutto seguendo una tavolozza cerea di gialli e oro. Delicatessen è l’avanguardista messa in scena di una sceneggiatura pirotecnica: quasi confusionari sono i salti vari tra le scene demenziali dell’allevatore di rane in appartamento, degli aspiranti suicidi incompiuti o del collaudatore di scatoline muggitrici. 

Una folle fiaba, una mistura di elementi che si riflette in quello che noi spettatori possiamo provare: un po’ di disgusto, un po’ di sbigottimento, un po’ di tenerezza per la parte più romantica della storia, molta confusione studiata a tavolino.  

La plasticità vignettistica di Delicatessen, mantiene intatta la componente estetica tipica dei creatori così legata alla narrazione che ne diventa il mezzo per scoperchiare lo strato semantico e di significato, ma la forte carica sovversiva rende graffiante, tragicomico e mostruoso un regista che non si conosce per questo. Un cult ultramoderno per il 1991, che da oggi 20 novembre torna in sala e merita di non finire nel dimenticatoio!

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