Nonostante compia proprio oggi novantatré anni, Clint Eastwood e i suoi film sembrano invulnerabili al passare del tempo. Oltre ad avere la forza di continuare a girare, la potenza e l’abilità dell’americanissimo autore stanno nella capacità di unire un cinema più commerciale con un’autorialità molto, molto presente.
Con la sua ghigna iconica, fatta apposta per il cinema, è diventato un grande attore e, da quanto dimostrato dalla sua a dir poco invidiabile carriera, è stato anche in grado di diventare un grandissimo regista. Il suo cinema è sempre stato caratterizzato da una forte componente violenta e da una cattiveria realista. Ma quali solo i suoi dieci film più “spietati”?
Million Dollar Baby: l’eroismo di una scelta straziante

Frankie è un coriaceo e rude allenatore di boxe. Maggie una donna molto determinata. Questa è la storia del loro percorso verso i più alti circuiti competivi della boxe femminile. In Million Dollar Baby Eastwood destruttura il genere per tirarne fuori qualcosa di originale e potentissimo. Le vicende valicano la retorica del classico film sui pugili e sul pugilato, divenendo una grande parabola di vita. Come in tutti i film che verranno qui citati, non ci viene risparmiato assolutamente nulla. È la messa di una tragedia che, nel finale, culmina con una straziante scelta definitiva.
Clint Eastwood contro il Potere Assoluto

Il nostro Clint ci regala un grande thriller politico, come ama tanto fare, brillante e sempre con la giusta tensione. L’incipit è questo: quando un ladro è l’unico testimone dell’omicidio di una donna in cui è coinvolto nientemeno che il presidente degli Stati Uniti d’America, deve scegliere da che parte schierarsi. È lo scontro, letterale, tra un uomo qualunque (anzi peggio, un criminale) e il potere più forte d’America. L’ingiustizia, l’ipocrisia e l’immoralità del sistema fanno muovere l’intera trama. Si tratta di un altro di quei film “minori” del regista che dovrebbe essere investe riscoperto e amato.
Ultimo antipasto: Coraggio… fatti ammazzare

Tra stupri, omicidi e corruzione, Clint Eastwood appare nelle vesti di uno dei suoi ruoli più iconici dell’epoca: l’ispettore della polizia di San Francisco Harry Callaghan. Torna qui col suo tipico carattere feroce, brutale, intransigente. Un carattere che si è andato definendosi nel tempo, grazie anche al seguito e al successo che ha avuto. Di nuovo la tecnica di Clint Eastwood è inattaccabile, come in praticamente tutti i film del regista. Nonostante manchi la profondità verso determinate tematiche che verrano riprese poi in altri film, di Eastwood e non, si tratta di un prodotto a cui dare una possibilità.
Gunny, o il sergente Hartman 0.5

Viene ricalcata la classica storia del veterano dei marine il cui compito è ora occuparsi dell’addestramento di un gruppo di nuove reclute demotivate. È proprio il sergente Thomas “Gunny” Highway lo spietato (o presunto tale) del film. Il rimando al sergente Hartman di Full Metal Jacket è molto marcato e non sarebbe nemmeno troppo sbagliato considerarlo come precursore spirituale della terribile figura venuta poi nel film di Kubrick. Solo che, diversamente che altrove, alla fine si scopre anche lui ha un cuore. Per buona parte della pellicola regna sovrana un’ambiguità ideologica verso il conflitto bellico, poi il disvelamento è totale.
L’uomo nel mirino: il sistema impuro disegnato da Clint Eastwood

L’uomo nel mirino è un poliziesco da cui nessuno esce intonso. Grandi sequenze d’azione girate magistralmente fanno da accompagnamento ad una cattiveria tipica e ad una violenza altrettanto tipica del regista. Il ritmo, per tutta l’ora e cinquanta di film, è invidiabile e ancora assolutamente attuale. Due protagonisti in splendida forma, una regia dinamica e sempre giusta, una sceneggiatura solida, fanno di quest’opera troppo spesso ingiustamente dimenticata, una visione da non perdersi.
La caustica critica socio-politica di Gran Torino

Sullo sfondo di un periodo storico critico, Eastwood voleva denunciare una situazione critica delle minoranze al termine dell’amministrazione presidenziale Bush. Il risultato dell’acceso nazionalismo portò ad un’intolleranza crescente verso gli immigrati, alimentando un clima di estrema tensione sociale. Tutto nel film è funzionale a promuovere una certa visione del mondo, di quel mondo non conforme all’ipocrita archetipo americano ed emerge prepotente un senso di abbandono e un’esistenza ai margini. Per quanto Eastwood abbia sempre avuto una componente politica molto marcata ed evidente (caratteristica inevitabile nei grandi autori) questo è uno, anche se non certo l’unico, dei più “schierati”.
La guerra in Iraq di un American Sniper

Il film del 2014, nominato a 6 premi Oscar, ha una regia perfetta per una vicenda dicotomica, in cui il soldato Chris Kyle è letteralmente diviso tra l’Iraq e gli Stati Uniti. La messa in scena e la fotografia di questi due luoghi antitetici seguono linee divergenti descrivendo efficacemente l’essere soldato durante e dopo un conflitto. Nessuna delle scelte atroci del protagonista, obbligate a causa di una guerra senza frontiere, ci vengono risparmiate. Sempre in bilico tra celebrazione dell’eroe e condanna degli omicidi perpetrati sul campo di battaglia, il film evidenzia questo ulteriore aspetto dicotomico intrinseco ai campi di morte.
Mystic River e il realismo mistico di Clint Eastwood

Ci troviamo di fronte ad un cast stellare. Ognuno restituisce caratterizzazioni degne dei loro nomi, creando, insieme alla superba sceneggiatura di Brian Helgeland e alla puntualissima regia di Eastwood, un campionario di personalità e caratteri. La fotografia cruda, realista, essenziale racconta una situazione, un ambiente anche senza parole. Il quartiere in cui i protagonisti sono cresciuti e le loro storie finiscono per divorarli. Loro ormai sono il loro passato e allo stesso tempo sono qualcosa di estremamente diverso da quei bambini che si conoscevano così bene. Al contrario di quanto possa sembrare, ci fa capire il film, tutto torna.
Il regista dagli occhi di ghiaccio

Incredibile western che riprende i grandi del genere, da Ford a Leone passando per Hawks, Il texano dagli occhi di ghiaccio è un film strepitoso nella forma e non solo. Clint East c’è cresciuto con western e qui dimostra il suo smodato amore e la sua grande conoscenza verso il selvaggio west. Nonostante si tratti solo del suo secondo film di genere come regista, riesce a girare un’opera allucinante. Basta l’incipit per capire perché questo film si trovi qui: ad un contadino sudista viene sterminata la famiglia da dei banditi, dopo aver perso tutto l’uomo decide di cercare vendetta.
“Semplicemente” Gli spietati

C’è poco da dire in realtà, questo film da’ il titolo all’intera classifica non a caso. Un Clint Eastwood spettacolare come attore e come regista eccelle sotto tutti i punti di vista. Il film è permeato da un cinismo e da una violenza inguaribili. L’esistenza in cerca di espiazione maledice il nostro protagonista fin dalle prime inquadrature. Viene messo in scena, con una crudezza assoluta, un vero e proprio paesaggio popolato di figure senza moralità che si stagliano come sagome sul vermiglio tramonto del west. Questa è la summa artistica del regista, che qui firma uno dei suoi più grandi capolavori.
Come si è visto se c’è una cosa di cui Clint Eastwood non ha paura è essere spietato. Non scappa quando c’è da mostrare qualcosa di riprovevole, non cerca riparo dietro facili moralismi o stupide semplificazioni ma va sempre al punto, diretto come una pallottola sparata da una .44 Magnum. Oltre ad essere instancabile, date le conferme sul suo ultimo film, è sicuramente uno di quei registi che hanno fatto la storia di un determinato tipo di cinema e diventerà una di quelle grandi personalità che verranno studiate, citate e amate da tutti i veri cinefili e non solo.