Confesso, chi scrive è una a cui le sitcom annoiano. Non è sopravvissuta a una stagione di Friends, a due episodi di How I Met Your Mother e giura da anni che prima o poi Scrubs lo finisce. Faccio mea culpa, ma non se la prendano i fanatici delle comedy: de gustibus non est disputandum. Ma è proprio per la sua riluttanza verso il genere che potete credere all’autrice quando afferma che, senza esagerazioni, Arrested Development – Ti presento i miei è un capolavoro della sitcom, e una delle sole tre serie comedy, delle decine lasciate a metà, che sia mai riuscita a finire.
Non vi fidate delle parole di un’eretica, è comprensibile. Allora mettiamola così: 84 nominations ai premi televisivi più svariati e 30 statuette e placche dorate portate a casa, tra cui sei Emmy e un Golden Globe. Considerato uno dei migliori e più influenti show (non soltanto sitcom) di tutti i tempi da Rolling Stone, Time, Entertainment Weekly, IGN e The Guardian. Inserito nel 2013 alla posizione numero 16 delle 101 serie meglio sceneggiate dalla Writers Guild of America e nel 2021 nella lista delle 100 migliori serie TV del XXI secolo secondo BBC. E a voi resta soltanto una domanda: perché non ne avete mai sentito parlare?
There was an idea…

Nel 2002, Ron Howard (che è sia Richie Cunningham di Happy Days, sia quello che ha vinto un Oscar per aver diretto A Beautiful Mind) decide di voler girare un mockumentary in stile reality tv, ma con una sceneggiatura iper-elaborata, in cui nulla sia lasciato al caso o all’improvvisazione. Ispirato dai recenti scandali finanziari di compagnie come la Enron e la Adelphia, decide di rendere protagonisti una ricchissima famiglia disfunzionale sull’orlo della bancarotta. Che detta così pare la trama di Succession e non avreste torto a pensarlo. Una storia “dalle stelle alle stalle”, così la definì Howard. La Fox si aggiudicò la produzione e, il 2 novembre di vent’anni fa, andò in onda l’episodio pilota, diretto da una coppia di registi che, prima della Marvel, giravano sitcom carucce: i fratelli Russo.
Breve trama: Micheal Bluth è l’erede destinato della Bluth Company, la compagnia immobiliare di suo padre George Sr. La scelta non è particolarmente ampia. Se la contendono lui, il fratello maggiore Gob, aspirante illusionista fallito; la gemella Lindsay, dipendente dallo shopping e organizzatrice di eventi di beneficenza per cause perse; e infine Buster, il fratello minore, morbosamente attaccato alla madre per cui prova un’indubbia attrazione edipica. C’è poi la madre, Lucille, che definire un’arpia è un insulto alle arpie (ed è assolutamente esilarante). Qui abbiamo soltanto voluto darvi l’incipit, ma questo non riassume nemmeno i primi cinque minuti di un episodio pilota ricco di chaos e battute memorabili. Il resto lo lasciamo scoprire a voi.
Arrested Development: Viva la revolución

Arrested Development fu una vera e propria rivoluzione per la sitcom americana. Di per sé il mockumentary (film o show che tratta di eventi fittizi, ma li presenta al pubblico con pretesa documentaristica) era stato inventato negli anni ’60 e dal 2001 già andava in onda il The Office britannico in quello stile. Quindi qual è la grande innovazione di AD? Innanzitutto tecnica, come il girare su location invece che in studio con più di una telecamera ed essere tra le prime sitcom ad eliminare le risate preregistrate. Poi c’è l’utilizzo massivo e brillante di gag legate al montaggio. Lo show sfrutta al massimo le sue potenzialità “documentaristiche”, mostrando filmati da telecamere di sicurezza, foto di famiglia, flashback, vecchi giornali, fonti web e altro ancora.
Ma non è tutto: alla fine di ogni episodio, vengono mostrate delle false preview delle puntate successive, contenenti scene inedite. Il tutto è cucito insieme dalla voce narrante di Ron Howard, che talvolta rinfresca memoria degli episodi precedenti. Questa, forse, è l’innovazione più moderna di Arrested Development e più apprezzabile da un pubblico odierno che da quello dei primi 2000. È una delle prime sitcom inserire delle running gags che premiano lo spettatore assiduo, ma rischiano di confondere quello casuale.
Penso che ancora non siate pronti per questa sitcom… Ma, ai vostri figli piacerà!

Per lo spettatore odierno, abbonato ai servizi streaming e abituato alla cultura del binge-watching, queste sono davvero delle chicche imperdibili e che oggi definiremmo all’avanguardia. Ma nei primi anni 2000, soprattutto in fatto di sitcom, lo spettatore medio era quello casuale. Perdendosi anche una sola delle puntate che passavano in tv, rischiava di perdere l’intero filo del discorso e non capire metà delle battute. E l’effetto straniante raddoppiava per i nuovi spettatori, che si avvicinavano alla sitcom dopo la prima stagione e non sapevano come raccapezzarsi con la trama elaboratissima e le gag autoreferenziali. Ricordiamo che all’epoca si era alla mercè del palinsesto televisivo, a meno di non voler comprare (senza certezze che la serie poi piacesse davvero) un cofanetto dvd.
Se un albero cade in una foresta

Fu proprio quel pubblico casuale a far fallire lo show, nonostante la presenza di una devotissima minoranza di appassionati. La Fox cancellò Arrested Development dopo tre stagioni e, solo in seguito, lo show fu ripescato da Netflix per altre due stagioni, con esiti altalenanti. La domanda è lecita: se una delle sitcom migliori di sempre passa in tv e nessuno la guarda, è ancora una delle sitcom migliori di sempre? Noi vi rispondiamo di sì. Prima di tutto, perché le innovazioni di Arrested Development sono state recepite da sitcom successive, probabilmente anche da quelle che amate. E, secondo perché c’è uno specifico lascito che non può essere ignorato.
Sapete qual è l’eredità di una sitcom? I meme. Eh sì, perché l’internet è un luogo strano in cui talvolta le cose diventano virali senza che nessuno sappia cosa siano. Come quando vi entra in testa il ritornello di un audio di TikTok anche se non avete mai sentito il pezzo originale. Guardate Arrested Development e poi fatevi un giro sui social: vedrete decine di gif, battute, e audio tratti dalla serie, a cui prima non avevate fatto caso. Dead dove do not eat? Arrested Development. Good for her? Arrested Development. “I love all my children equally” seguito da “I don’t care for X”? Arrested Development. A livello di impatto sulla cultura di massa, siamo pochi gradini sotto The Office.
E non stiamo a discutere del cast, ma tra i personaggi ricorrenti abbiamo nomi come Ben Stiller, Charlize Theron, Liza Minnelli e un Bob Odenkirk d’altri tempi, prima che sfondasse con Better Call Saul: l’ultima apparizione, memorabile, nella seconda stagione capolavoro di The Bear. Questo vi convince a dargli a chance? Noi abbiamo dato fondo al nostro arsenale di argomentazioni, adesso possiamo soltanto sperare che il nostro appello non sia un altro albero in una foresta silenziosa.
E voi avete visto Arrested Development? Eravate al corrente delle innovazioni che introdotto nel mondo della sitcom americana? Fatecelo sapere nei commenti!