Mario Martone racconta Massimo Troisi in Laggiù qualcuno mi ama, dal 23 febbraio in sala. Leggi la nostra recensione dalla Berlinale 73!
Sì Massimo, anche più di qualcuno. Un’intera sala è tornata ad amarti, dalla Berlinale 73, come fosse la prima volta. Oppure come una sala che ha visto e rivisto i tuoi film innumerevoli volte, ma per una volta aveva bisogno che qualcuno facesse un film su di te, come si deve, finalmente. E molte altre sale rideranno dal 23 febbraio, data d’uscita nelle sale di Laggiù qualcuno mi ama. Rideranno, si commuoveranno anche, ma soprattutto ammutoliranno di fronte alla tua profondità, allo spessore delle tue digressioni, al pensiero che ti avevano “soltanto” considerato un comico. Uno di quelli bravi, certo, ma pur sempre e solo un comico. E ringrazieranno Mario Martone per averlo reso, anche lui, un po’ più possibile.
Una stanza piena d’Italia
La sala dell’Haus der Berliner Festpiele, come prevedibile, è gremita d’italiani. Quindi fa senz’altro un certo effetto quando Mario Martone decide, dopo un breve intro, di attaccare con Je So’ Pazzo di Pino Daniele come sottofondo al titolo. E a un bellissimo incipit che, prendendosi tutta la durata della canzone, racconta l’Italia attraverso gli archivi dell’epoca. Non mostra ancora il cinema di Troisi, anche se l’arco sembra esattamente quello della Prima Repubblica – dal 1946 al 1994, e Troisi muore esattamente nel ’94. Mostra piuttosto le strade, i volti, i sommovimenti politici che il cinema di Troisi avrebbe raccontato.
Perché Laggiù qualcuno mi ama è uno spaccato tanto fedele, esaustivo e profondo della figura di Massimo Troisi, in ogni sua sfaccettatura, da creare quasi un pericoloso paradosso. E ora ve lo spiego. Quella sala di italiani, al Festspiele, rideva. Rideva come chi attende una scena che ha rivisto mille e mille volte, iniziando a riderne prima ancora che Troisi pronunci una delle sue tante, indimenticabili battute. Ma eccolo il paradosso: il documentario di Martone è fatto talmente bene, da poter dare l’impressione di conoscere Troisi da tutta una vita anche a chi non ne abbia mai visto un singolo film.
Pericoloso, ma prezioso, perché se normalmente la questione intergenerazionale mi interessa sempre poco, qui mi trovo a dire che Laggiù qualcuno mi ama non è soltanto bello, ma è anche utile. Utile a chi non solo Troisi non l’aveva mai capito, ma neanche ci si era mai, soprattutto fra le generazioni più giovani, imbattuto. Non voglio dilungarmi ancora sull’aggettivo: utile, ché di solito non è granché da associare a un film. Però ecco, forse per certi film, e soprattutto per certi documentari, la questione sta tutta lì.
Laggiù quacuno mi ama… più di qualcuno

Paolo Sorrentino in Laggiù qualcuno mi ama
Esaustivo. Questo l’altro aggettivo, a cui mi sento di associare sinonimi – che in altri casi sinonimi non sarebbero, non di esaustivo almeno – come ricco, come anatomico, senza per questo non essere appassionato, di cuore e non solo di testa. Tanti i contributi da intervistati più o meno direttamente legati a Troisi. C’è Anna Pavignano, con cui scriveva ogni film e che sarà fondamentale. C’è Michael Radford, con cui gira il suo ultimo film, Il Postino, a costo di rimandare un trapianto di cuore ormai indispensabile. E infatti ne morrà, di quel cuore, esattamente il giorno dopo dell’ultimo ciak, a soli 41 anni.
C’è anche Paolo Sorrentino, che disseziona intere scene e confessa tutta l’influenza che Troisi ha sortito sulla sua formazione, sul suo cinema, sulla sua ironia e solo da ultimo sul suo essere napoletano. Da ultimo, perché Massimo non era solo quello, solo napoletano. Anche se tutte le recensioni negative dei suoi film, racconta in un’intervista che fa sorridere ma fa anche riflettere, iniziano tutte con la domanda: “E dov’è Napoli?”. A intendere che Troisi giusto quello sapeva e poteva fare, parlare di Napoli.
Al che lui risponde, facendo i dovuti distinguo, per modestia: “Che a Fellini chiedevano dov’era Rimini nei suoi film?”. Dicendo molto più di quanto non vorremmo del pochezza di certa critica “intellettuale e progressista”, per cui un meridionale poteva e anzi doveva parlare di Meridione, a patto che parlasse solo di Meridione.
Molti Massimo Troisi, in Laggiù qualcuno mi ama

Massimo Troisi regista
Laggiù qualcuno mi ama procede quindi ripercorrendo l’intera filmografia di Troisi, film per film, scegliendo ogni volta una sfumatura diversa da raccontare, e dell’uomo e del cineasta: Troisi femminista, Troisi politico, Troisi innamorato. Troisi nouvellevagueano.
Il primo è quello che scrive sceneggiature profondamente, radicalmente femministe con Anna Pavignano. Che rompe con la tradizione precedente delle femme fatale, perché a differenza di un Tognazzi o un Gassman o un Sordi o un Manfredi: “Lui non inseguiva; seguiva le donne”. L’inseguire, il correre, è poi uno dei tormentoni del cinema di Troisi in cui Martone riconosce la prosecuzione diretta del cinema della Nouvelle Vague.
“In entrambi si corre”: per Martone, Troisi è un Truffaut. Attraverso di lui passano decine di anni e geografie del cinema. Per esempio, quando Martone dice questa frase, ho pensato che anche in Licorice Pizza – ne ha scritto chiunque – “si corre”.
L’amore, l’esasperazione, la vita

Sul set di Laggiù qualcuno mi ama
Troisi politico e Troisi innamorato sono altrettanto connessi (non che il femminismo non abbia a che fare con la politica poi, tutto ha a che fare con la politica). Martone infatti ce lo dice con una frase dal valore universale: “C’era l’amore che era il centro della vita e tutto diventava immediatamente politico, perché semplicemente era vita”. Martone lo dice all’inizio. Poi, alla fine, a domanda su cosa sia l’amore, Troisi risponde in una vecchia intervista che è “esasperazione”. Ma allora, quindi, lo è anche la vita, essenzialmente esasperazione. Eccola allora, l’importanza della risata, e che sia fragorosa, come quelle che scatenava Troisi.
Perché se l’esasperazione del vivere non la si può sbolognare da qualche parte, si può solo creare una risata che ci renda un po’ più dolce, in bocca, quell’insopprimibile saporaccio d’amaro. Che è la vita. L’ho già scritto, da un’altra parte, e torno a ribadirlo anche qui. Questo, soprattutto questo, ho visto a Berlino. Una sala grata a Martone per averle ricordato Troisi e per averle fatto dimenticare anche solo per un paio d’ore, attraverso di lui, l’esasperazione del vivere.
Continuate a leggerci e seguirci su CiakClub.it per tutte le recensioni e gli aggiornamenti da questa 73esima edizione del Festival Internazionale di Berlino, di cui trovate qui il programma di film italiani. Laggiù qualcuno mi ama, invece, lo trovate in tutta Italia dal 23 febbraio e già da oggi in alcuni cinema selezionati.

Caporedattore di CiakClub. Da sempre appassionato di pop culture, di letteratura fantascientifica e distopica, di quanto la buona vecchia America ci ha regalato in fatto di musica fra gli Anni ’50 e ’70 e soprattutto di cinema in ogni sua forma, senza barriere né confini, con specifica attenzione al panorama anglosassone.